Cronaca

Omicidio Cecchettin: “Le 75 coltellate non sono segno di crudeltà ma di inesperienza”

Uno dei tanti, troppi femminicidi, quello di Giulia Cecchettin, oggi ha registrato un altro passaggio giudiziario, la pubblicazione delle motivazioni della sentenza di primo grado che ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo per omicidio aggravato premeditato. Su un’aggravante è scoppiata la polemica. I giudici, Le “75 coltellate a Giulia non sono segno di crudeltà”. “Sono conseguenza dell’inesperienza di Turetta”. Non sopportava l’autonomia di Giulia Cecchettin e l’ha colpita con 75 coltellate, come noto.

Però quella di Filippo Turetta non si può definire crudeltà, ossia “un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima”, ma “conseguenza della inesperienza e della inabilità”, secondo i giudici in un passaggio delicato delle motivazioni che stanno facendo discutere.

E’ la cruda sintesi delle 143 pagine di motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Assise di Venezia ha condannato all’ergastolo il 3 dicembre scorso Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio della giovane di Vigonovo, in provincia di Venezia, poi gettata in un dirupo in Friuli, l’11 novembre 2023.
Un femminicidio a cui è seguita la fuga che ha portato Turetta a consegnarsi in Germania pochi giorni dopo.

Dei tre capi di accusa – omicidio aggravato dalla premeditazione, la crudeltà e lo stalking – solo il primo è stato accolto dai giudici, che hanno però respinto le attenuanti aprendo inevitabilmente alla pena dell’ergastolo. Questo per “l’efferatezza dell’azione, della risolutezza del gesto compiuto e degli abietti motivi di arcaica sopraffazione che tale gesto hanno generato: motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l’imputato non accettava l’autonomia anche delle più banali scelte di vita”.

L’esclusione della crudeltà dalle accuse è stato uno dei punti più controversi della sentenza letta dal presidente Stefano Manduzio. Le motivazioni redatte dal giudice a latere Francesca Zancan, sottolineano che la dinamica dell’omicidio di Giulia non permette di “desumere con certezza” che Turetta volesse “infliggere alla vittima sofferenze gratuite e aggiuntive”, che caratterizzano l’aggravante. Per i giudici “non è a tal fine valorizzabile, di per sé, il numero di coltellate inferte”, ossia le 75 coltellate non sarebbe stato “un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima”, ma “conseguenza della inesperienza e della inabilità” di Turetta.

Il 22enne avrebbe continuato a colpire fino a quando si è reso conto che Giulia “non c’era più”, lo ha detto anche in aula. Ha dichiarato di essersi fermato “quando si è reso conto che aveva colpito l’occhio: ‘mi ha fatto troppa impressione’, ha dichiarato”. Proprio su quel colpo, il più drammatico nella descrizione del delitto, i giudici affermano che nell’assassino non vi fosse “la volontà di arrecare scempio o sofferenza aggiuntiva” tipiche della crudeltà.

Turetta ha comunque mantenuto “lucidità e razionalità” dopo aver ucciso Giulia, con la “chiara e innegabile volontà di nascondere il corpo in modo, quantomeno da ritardarne il ritrovamento”, si legge. Poi c’è “la scelta del luogo in cui abbandonare il cadavere” e “le modalità in cui il corpo è stato lasciato”. Da qui la premeditazione, poi c’è l’atteggiamento dell’omicida che per i giudici “ha confessato in parte e ha anche mentito” ammettendolo in aula, e ancora dalle intercettazioni in carcere dei colloqui con i genitori da cui “si evince chiaramente come egli fosse a conoscenza del fatto che vi era molto altro a suo carico” ma non lo ha riferito.

Anche lo stalking viene respinto dalla Corte perché “l’aggravante contestata è espressamente circoscritta al periodo ‘in prossimità e a seguito del termine della relazione intrattenuta’”. Ma pesa anche il fatto che il padre della vittima, Gino Cecchettin, dopo la scomparsa della figlia e prima ancora di avere elementi sulla sua sorte, aveva riferito di “non aver percepito alcun disagio in Giulia”, circostanza confermata “anche quando è stato sentito dal pubblico ministero in data 20 febbraio 2024”.

Nel ricostruire la vicenda i giudici hanno scritto che l’aggressione a Giulia è durata complessivamente 20 minuti, “lasso di tempo durante il quale ha avuto la possibilità di percepire l’imminente morte”.

(Fonte Ansa)