Trump vuole l’accordo su Gaza ad ogni costo, ma difende il premier israeliano, il massacro però continua
Trump pretende l’accordo su Gaza ma difende Netanyahu. I giudici rinviano il processo del premier. Ancora raid a Gaza. l presidente americano Donald Trump torna a fare pressione sul premier israeliano Benyamin Netanyahu affinché chiuda un accordo sul ritorno degli ostaggi e sul cessate il fuoco nella martoriata Striscia di Gaza, colpita quotidianamente dai raid che l’Idf ha intensificato, con un bilancio di vittime che in 24 ore ha superato quota 85 morti. Una continua strage che stando ai dati forniti dal ministero della Salute di Hamas ha causato dal 7 ottobre del 2023 oltre 56.500 vittime. Altri 133.419 palestinesi sono rimasti feriti negli attacchi.
L’amministrazione a stelle e strisce insiste e torna a incalzare dopo l’annuncio dello stesso Trump venerdì scorso quando aveva previsto che “entro una settimana” si sarebbe siglata un’intesa. Poi in un altro post il tycoon torna a chiedere l’annullamento del processo per corruzione contro Bibi sottolineando che “in questo momento sta negoziando un accordo con Hamas, che includerà la restituzione degli ostaggi”. Trump parla di “una caccia alle streghe politica, molto simile a quella che sono stato costretto a sopportare”, criticando “questa parodia della giustizia” che “interferirà con i negoziati sia con l’Iran che con Hamas”.
Secondo analisti l’insistenza di Trump a far annullare il processo, che sta suscitando scalpore sia negli Stati Uniti sia a Gerusalemme, non ha precedenti e potrebbe esacerbare la crisi costituzionale in Israele. Ore dopo il post del tycoon il tribunale distrettuale di Gerusalemme ha rinviato l’udienza di Netanyahu nel suo processo. Il premier israeliano, grato al tycoon, ha chiesto in tribunale che la sua testimonianza prevista per le prossime due settimane fosse rinviata a causa di problemi diplomatici e di sicurezza nazionale, dopo che due richieste di questo tipo erano state respinte venerdì.
In serata Bibi si è riunito con alcuni ministri per fare il punto sulla guerra a Gaza e sui tentativi di raggiungere un accordo. Un’intesa, che secondo Israel Hayom è articolata in cinque punti: il primo prevede che le ostilità a Gaza si concludano entro due settimane, la liberazione degli ostaggi e l’amministrazione della Striscia da parte di quattro nazioni arabe (tra cui Egitto ed Emirati Arabi Uniti) al posto di Hamas, i cui leader dovranno affrontare l’esilio in altri Paesi. Il secondo punto riguarda l’impegno da parte di molte nazioni nel mondo ad accettare numerosi abitanti di Gaza che vogliono emigrare. Poi si prevede che l’espansione degli Accordi di Abramo porterà la Siria, l’Arabia Saudita e altri Paesi arabi e musulmani a riconoscere Israele e a stabilire relazioni ufficiali. Infine si chiede che Israele dichiari la sua disponibilità a una futura risoluzione del conflitto palestinese legato al concetto dei “due Stati”, subordinatamente alle riforme dell’Autorità Nazionale Palestinese. Gli Stati Uniti inoltre riconosceranno una sovranità israeliana limitata ad alcune area della Cisgiordania.
Intanto un funzionario egiziano che ha parlato in condizione di anonimità al quotidiano Haaretz ha precisato che Hamas sarebbe disposta a scendere a compromessi sulla presenza dell’Idf nelle aree di Gaza durante il cessate il fuoco. Nelle stesse ore dal governo israeliano è arrivato il via libera al rientro di otto comunità al confine con Gaza. The Times of Israel precisa che d’ora in poi non esisterà più alcun divieto militare che impedisca ai residenti del confine con la Striscia di tornare a casa. Tuttavia, alcune comunità (Nahal Oz, Kissufim, Holit, Kfar Aza e Be’eri) dovranno continuare a vivere in alloggi temporanei finché i loro villaggi non saranno resi abitabili. La revoca del divieto militare, unita al completamento dei lavori edilizi essenziali, significa che a partire da oggi i residenti di Kerem Shalom, Re’im, Nirim, Ein Hashlosha, Sufa, Nir Yitzhak e Netiv Ha’asara potranno tornare a casa.
(Fonte Ansa)