Era il 4 aprile 2023 quando è stata pubblicata la miniserie “The Good Mothers” su Hulu e Disney plus. The Good Mothers è una di quelle serie giuste sulla piattaforma sbagliata. Disney Plus, intasata di contenuti di franchise ad ampio spettro e per famiglie come Star Wars, Marvel Cinematic Universe, Simpson e Disney Pixar, nasconde molte perle di grande qualità, perle che vengono sepolte dal pop corn entertainment senza pensieri (rimangono eccellenti eccezioni come Shogun e The Bear).
E invece, “The Good Mothers”, titolo quasi inoffensivo, che potrebbe avvicinarsi per assonanza a Desperate Housewives e Good Girls, di spensierato o inoffensivo non ha assolutamente niente. La serie diretta da Julian Jarrold (autore del impietoso e magistrale Red Riding 1974) ed Elisa Amoruso (nata documentarista con Fuoristrada e Chiara Ferragni Unposted) ci porta in un incubo quotidiano di tre donne. Tre storie vere, tre vittime di abusi e violenze, tre donne il cui coraggio e sacrificio ha permesso di smantellare un clan della ‘ndrangheta. Parliamo di Denise Cosco, figlia del boss Carlo Cosco e Lea Garofalo uccisa dallo stesso Cosco, fatta sparire per essere stata per un periodo testimone di giustizia, poi fece marcia indietro e pagò con la vita; Giuseppina Pesce, compagna di Rocco Palaia e faccendiera per la potente famiglia Pesce di Rosarno; e Maria Concetta Cacciola, compagna di Salvatore Figluzzi, del clan Bellocco di Rosarno, la cui carcerazione farà sì che Maria Concetta sia segregata in casa, lei si ribella e anche lei morirà. Alla fine Denise e Giuseppina sopravviveranno proprio percé non faranno dietro front come le altre due.
Sono donne nate e cresciute in un inferno fatto di ‘ndrangheta, Denise, Lea, Concetta e Giuseppina. Un inferno fatto di sevizie, lavaggi del cervello e ricatti della peggior specie. La serie si apre sulla scomparsa di Lea Garofalo, ex testimone di giustizia, abbandonata dal programma di protezione perché le informazioni che ha portato agli inquirenti non erano abbastanza rilevanti, e il trasferimento/rapimento della figlia Denise che viene riportata in famiglia in Calabria dal padre. Denise sa dentro di sé che la madre è morta ma è tenuta sempre sotto sorveglianza dai parenti, quello di Denise è un inferno fatto di falsi sorrisi, menzogne una finta libertà e un’amicizia che ha lo scopo di trasformarsi in relazione, per assoggettare la sua identità di donna al ruolo di moglie e madre sottomessa. Ruolo che ci viene descritto con brutale e asciutta chiarezza nel momento in cui conosciamo le altre due protagoniste di “The Good Mothers”: Maria Concetta Cacciola è una madre di tre figli, un marito in carcere e una famiglia che la vuole chiusa in casa, a fare la madre e la moglie. Una semplice chat su Facebook significa percosse continue da parte del fratello, del padre e del suocero. Scene di una violenza inaudita lasciate fuori scena, mentre in sala da pranzo i figli e il resto della famiglia continuano a cenare in silenzio come se niente fosse. Mamma urla e nonna alza il volume della televisione. È una normalità che colpisce allo stomaco al cuore e toglie il sonno. Per Giuseppina non è differente, nonostante sia un membro attivo del clan Pesce per la mentalità ‘ndranghetista rimane sempre una donna. Deve tacere, non deve contraddire il capofamiglia, viene costantemente umiliata, vessata e abusata psicologicamente. Ma ci sono dei punti di svolta . Queste tre storie vedranno nella legalità un’ancora di salvezza. Infatti il procuratore Anna Colace (interpretata da una sempre straordinaria Barbara Chichiarielli, reduce quest’anno da M – il figlio del Secolo), altra donna di questa vicenda, fredda e determinata ha un’intuizione: smantellare l’omertà ‘ndranghetista è possibile tramite le persone più vicine agli uomini delle ‘ndrine: le mogli, perennemente vessate e maltrattate, uccise e lasciate all’oblio come Lea Garofalo, mamma di Denise.
Per Giuseppina la redenzione coincide con lo scattare delle manette in cui la proposta di diventare testimone e poter crescere i figli fuori dall’inferno domestico diventa motivo di redenzione. Denise riuscirà a contattare l’avvocato della madre per poi diventare testimone di giustizia (la sua storia verrà raccontata anche nelle puntate dedicate all’omicidio di Lea
Garofalo di “Un Giorno in pretura”, disponibili su Raiplay) e Maria Concetta dopo l’ennesimo pestaggio riuscirà a denunciare la famiglia ed andare in una casa protetta. Lieto fine, sipario. E invece no. Perché la malvagità dell’uomo non ha limiti. Perché le donne in questione, sono madri. E perchè parliamo di ‘ndrangheta. Ed è questa la bieca e disgustosa leva che le famiglie di ‘mdranghetisti usano su queste donne schiave e martiri: i figli.
Nel momento in cui Giuseppina, e in seguito Maria Concetta entreranno nel programmadi protezione dello Stato, le famiglie inizieranno a cercare di contattare le donne, a utilizzare i figli per farle tornare in famiglia, ad assicurare loro che andrà tutto bene. Ad esempio le zie e le nonne di Maria Concetta faranno scrivere mail e messaggi alla madre per farla tornare. Maria Concetta cederà all’amore verso i figli e tornerà a casa trovando la morte. Maria Concetta Cacciola morirà a Rosarno il 20 Agosto 2011, un apparente suicidio che ovviamente alla luce dei fatti puzza di omicidio. Maria Concetta infatti è stata trovata in vasca da bagno morente dopo aver ingerito Acido Cloridrico. Una morte atroce che nessuno sceglierebbe come modalità di suicidio, tanto più perché queste donne sono madri, e il loro senso di amore verso i figli è stato sistematicamente strumentalizzato per tenerle sottomesse. Un sistema talmente diffuso e normalizzato che se la serie non fosse basata su fatti realmente accaduti e atti processuali potrebbe essere solo degna del cinema più impietoso (i paralleli con Miss Violence e Dogtooth si sprecano).
Invece quella che vediamo è la realtà, una realtà brutale e orrida, secca e impietosa. Un incubo quotidiano, reiterato e senza via di scampo che non è eccezione ma bieca consuetudine. La contorta psicologia dei maschi nella serie riflette quella dei maschi e degli ambienti famigliari di tante parti d’Italia ormai piagata da femminicidi che sono una quotidianità allarmante, femminicidi figli di una forma di pensiero che vede la donna come proprietà, come creatura da compagnia, come donna di servizio, come individuo parzialmente pensante che deve essere addomesticato e manipolato a favore dell’uomo, lestamente ingravidata e messa in famiglia a far da serva. E se si innamora? E se ha ambizioni? E se l’amore finisce? E se quella donna non ne può più dei soprusi, delle sevizie, dei tradimenti? Allora sono mani, sono coltelli, sono pietre, sono pistole, allora è la violenza animale e cieca. Tutto questo dà il voltastomaco, torce le budella e disgusta ma per capire appieno l’inferno, e ci tengo a ripeterlo, perché vivere nel quotidiano terrore è l’inferno in terra, di queste donne bisogna decidere di guardare, mollare la serie tv o il reality. Chiudere Tiktok e guardare una serie come “The Good Mothers”, rivedere il processo a Carlo Cosco su RaiPlay e lasciare che la nostra psiche assorba questo genere di malessere che ci viene mostrato che è un infinitesimo di quello che donne in tutta Italia provano ogni giorno in una realtà in cui trovano la morte, e la loro memoria viene costantemente infangata quando si minimizza nei talk show e disgraziate trasmissioni o si cerca un alibi o attenuanti per gli omicidi.
Vorrei chiudere con un aneddoto che poco c’entra all’apparenza con la vicenda.
Il 23 settembre 1984 andó in onda sulla BBC il film per la tv “Threads” (in italiano tradotto con “Ipotesi Sopravvivenza”) che mostrava con spietata freddezza lo scenario dopo una guerra nucleare. Queste furono le parole del regista Mick Jackson in seguito alla prima “solitamente dopo una messa in onda arrivavano telefonate da colleghi e giornalisti per complimentarsi dell’ottimo prodotto, ma dopo la messa in onda di “Threads” non arrivarono telefonate. Gli spettatori rimasero seduti immobili a fissare lo schermo e a riflettere. Spesso parlando fra di loro su cosa avevano visto e non dormendo per giorni. “The Good Mothers” è similmente a “Threads” un prodotto che dà lo stesso sconvolgimento interior,e e ne parliamo a due anni dal suo caricamento su Disney Plus perché dovremmo tutti prenderci qualche ora e, in religioso silenzio, dopo la visione degli episodi riflettere a fondo come fece il popolo britannico dopo “Threads”. “The Good Mothers” dovrebbe toglierci il sonno e darci un’idea della gravità della situazione che ci circonda. Guardatelo d’un fiato, non mi ringrazierete ma servirà a tutti noi.