Tenta di togliersi la vita buttandosi da un ponte nel Po, salvato all’ultimo dai carabinieri
Ponte del Po, giovane tenta il suicidio: salvato dai carabinieri nella notte. È notte fonda a Casale Monferrato. Il buio avvolge il ponte sul Po, ma ancor più cupo è l’abisso interiore di un uomo che, deciso a farla finita, si sporge verso il vuoto. Sul ciglio della ringhiera, la disperazione prende corpo: a terra restano portafogli, chiavi e cellulare, ultimi segni di un distacco dalla vita. Un passante nota la scena e intuisce che sta per consumarsi qualcosa di irreparabile. Con lucidità chiama il 112. La centrale operativa riceve l’allarme e allerta la pattuglia più vicina. I secondi diventano cruciali: troppo rapidi per chi vuole morire, interminabili per chi tenta di salvare. La pattuglia dei carabinieri corre tra le strade notturne, fendendo il silenzio come un lampo. Arriva sul posto. Due militari scendono, muovendosi con cautela. Davanti a loro un quarantenne, in piedi sulla ringhiera, il corpo proteso verso il fiume, lo sguardo nel vuoto. Il respiro corto, la voce tremante: «Non voglio più vivere».
La tensione è assoluta. Ogni parola, ogni passo può spezzare l’equilibrio precario. I Carabinieri parlano con tono fermo ma conciliante, tentando di tenere accesa la scintilla della ragione. Si avvicinano lentamente, col peso del rischio e la consapevolezza che basta un istante perché il baratro diventi definitivo. Poi l’attimo decisivo: un balzo calcolato, le mani che afferrano l’uomo e lo riportano al sicuro, oltre la ringhiera, di nuovo sulla strada.
Le lacrime scendono, il cuore riprende a battere. L’uomo crolla tra le braccia dei militari, confessando il dolore che lo ha spinto a quella scelta e il pensiero del figlio piccolo, ciò che avrebbe lasciato dietro di sé. In quella notte buia, due divise hanno spezzato la solitudine e restituito la vita a chi l’aveva già abbandonata. Il Comando Provinciale dei Carabinieri di Alessandria, con freddezza operativa e umanità concreta, ha impedito che la disperazione di un singolo si trasformasse in tragedia collettiva. Resta l’amarezza di una ferita interiore, ma anche la certezza che la vita, seppur fragile, può ancora essere difesa.