Spiavano case, spogliatoi e docce, condannati 5 hacker italiani che facevano parte di una rete internazionale
Spycam nei bagni, nelle case, negli spogliatoi: migliaia di vittime in tutta Europa. A Milano condannati cinque hacker. «Benvenuto nel primo canale in Europa dedicato alle spycam». Non era uno slogan pubblicitario. Era un avvertimento. O forse una minaccia. Un archivio digitale dell’orrore: immagini rubate da telecamere installate in appartamenti, palestre, piscine, alberghi. Milioni di fotogrammi della vita più intima, spiata, raccolta, classificata, venduta.
Come riporta il Corriere della Sera, a Milano si è chiuso uno dei primi processi italiani su questo fenomeno, con la condanna in rito abbreviato di cinque informatici — alcuni dei quali installatori di sistemi domotici — a pene comprese tra i due anni e mezzo e i tre anni e mezzo. Erano accusati di aver creato una rete di sorveglianza illegale: hackeravano videocamere connesse a Internet, deviavano il flusso video su server esterni, e poi rivendevano l’accesso a quelle immagini in chat su social criptati.
Nessuna vittima si è costituita parte civile. Non per disinteresse, ma perché nessuno sapeva di esserlo. Nelle stanze di tribunale, i volti non avevano nomi. Le scene rubate non avevano testimoni. Nessuna denuncia possibile per accesso abusivo a sistema informatico: serve la querela della vittima, che in questo caso non sa di essere stata violata.
Secondo le ricostruzioni giudiziarie, la rete funzionava così: software automatici scansionavano migliaia di dispositivi online, individuando quelli con password deboli o predefinite. Una volta “bucata” la telecamera, le immagini venivano archiviate secondo criteri precisi: tipo di luogo, potenziale di “intrattenimento”, livello di esposizione delle vittime. Poi, tramite una chat su VKontakte — un noto social russo — iniziava lo scambio: 50 credenziali d’accesso a 10 euro. Pagamento in criptovalute. Zero tracciabilità.
Come riporta ancora il Corriere della Sera, solo in Italia sono almeno 70.000 le telecamere “esposte” online, facilmente aggredibili da chiunque abbia competenze informatiche e intenzioni perverse. Questo è un nuovo mercato, un mercato globale, silenzioso, alimentato dall’ingenuità tecnologica delle persone e da una giustizia che fatica a tenere il passo.
La vicenda milanese è un campanello d’allarme. Un sistema criminale sofisticato, che ha messo in vendita l’intimità di migliaia di persone. Nessuna casa è davvero sicura se anche una sola videocamera resta esposta. Basta una password dimenticata, un impianto non aggiornato, e quella che chiami sicurezza può trasformarsi in trappola.
La privacy non è più violata a colpi di pettegolezzo. Ora viene hackerata, schedata e venduta. E siamo tutti, potenzialmente, nel mirino.