Sinner è tornato, in 5 mila hanno assistito al suo allenamento agli Internazionali di Roma
Ho visto Jannik tornare. E alla fine, sì, l’ho visto. L’ho visto entrare in campo mentre la folla – oltre 5000 persone assiepate per un “semplice” allenamento, qualcosa successo solo forse con l’ultimo Re Roger – vibrante come trombe d’angeli di Paradiso si levava al cielo mite e roseo di Roma (il volere degli Dei commossi, per l’occasione, aveva sgombrato le funeste nuvole dall’orizzonte) con urla, applausi e gemiti di gioia. “Sinner-Sinner-Sinner-Sinner-Sinner” il mantra potente, struggente e commovente che univa in voce sola quelle di adulti, ragazzi, bambine e bambini che adesso hanno finalmente un nuovo supereroe – fatto di carne, passione, sudore, sangue ed ossa – da amare ed imitare.
E alla fine, sì, l’ho visto. L’ho visto con sorriso sfuggente e imbarazzato, come travolto da uno tsunami d’affetto e amore che colmava e riempiva i mesi di un esilio infame e senza colpe, novello Ulisse che torna a Itaca e non ha bisogno di travestimenti perché tutti – finanche i Proci – lo aspettano come si aspetta la propria ombra per dare sostanza alla propria esistenza.
E alla fine, sì, l’ho visto. L’ho visto e sentito in tutto slancio di Scintilla che si colma e si ricolma d’Infinito, mentre accordava – di racchetta strumento – l’acuto più alto del suo Schiaffo di Dio.
E alla fine, sì, l’ho visto. Attorniato dalla sua famiglia più stretta, quella infrangibile compagnia dell’Anello che ha forgiato il nostro tesoro. Tutti attenti, partecipi, presenti, vicini, accoglienti. Vagnozzi, agile ombra che gli copriva le spalle; Panichi, statua immobile e ferma a dar sicurezza; Cahill, novello Gandalf a cui basta uno sguardo per riappacificare a capire.
E alla fine, sì, l’ho visto. L’ho visto anche allenarsi e “giocare” contro un altro talento, un bombardiere scelto come Jiří Lehečka che di continuità e campo è già da inizio anno pieno – e si vede dai movimenti e dal braccio. Un allenamento strano, imperfetto e “unico” per modi, per circostanza, per rientro e per tempo. La prima uscita “ufficiale” a contatto col suo popolo. Un allenamento, il primo, da cui impossibile – se non ingiusto – trarre conclusioni affrettate, emozioni o previsioni. Il peso dell’ingiustizia, quello sì, si sentiva ancora presente come odor di bruciato che riempiva il Centrale fino agli anelli più alti, scacciato solo dal profumo della pelle di 5000 persone emozionate e adoranti. La ruggine – velo leggero come rena finissima che si intrufola fino all’anima – copriva, sfacciata, la sua armatura di Diamante e di Ghiaccio, senza mai veramente intaccarla. Ma si vedeva, sì, da alcuni colpi imperfetti: palle corte osate e dritti fuori misure, fino a un paio di rumori sordi di steccate che stonano con quel rumore secco che è lo Schiaffo di Dio; dritti fuori misura che lambivano ben oltre la riga di fondocampo. Come poi si vedeva dall’accendersi di ghiaccio furente e fumante lo sguardo che Jannik, in fondo, non è per nulla cambiato ma va solo rodato.
Perché alla fine, sì, l’ho visto. Ho rivisto il fulmine di Zeus che impietoso si scaglia; ho rivisto – a tratti – il rullo compressore che asfalta e appiana ogni resistenza. L’ho rivisto quando repentino cambiava ritmo, e la pallina fendeva l’aria – lambendo la rete – come missile d’oro; l’ho rivisto al servizio, nella foga, nei recuperi e negli scatti.
E alla fine, sì, insieme ad altri 5000 cuori l’ho visto. Non posso, non so dirvi quanta strada farà qui a Roma e quanto indicativo può essere questo primo allenamento di due ore con Lehečka.
Quello che so, però, quello che posso dirvi è che l’ho Visto. E – soprattutto – l’ho rivisto. L’ho riconosciuto.
Nei movimenti. Nel braccio. Negli occhi. Nell’anima. Nella calma, serena, struggente e devastante furia che l’accompagna e gli arde dentro.
Sì, alla fine l’ho visto. E non so se già qui, a Roma, vincerà ma so che Lui è tornato.