Sequestrato il tesoro del “Re del sushi”, per la gdf quei 9 milioni di euro sono soldi evasi al fisco
Il regno del pesce e la trappola del prestito: nove milioni sequestrati al “grossista fantasma”. La storia comincia in silenzio, come spesso accade nei grandi affari che puzzano più di evasione che di pesce fresco. Un’insegna anonima, una partita Iva, e dietro un volto cinese sconosciuto, intestatario di un impero che, nei documenti, era tutto suo. Ma nella realtà, quel nome era solo una maschera. Dietro, altri quattro uomini muovevano i fili. L’odore del mare era solo facciata: sotto, scorreva un fiume di soldi sottratti al fisco. A fine giugno 2025, le fiamme gialle di Torino hanno chiuso il cerchio. Il sequestro è stato pesante: 9,2 milioni di euro, tra contanti, immobili di lusso e automobili. L’indagine, avviata nel 2023, è partita da un semplice controllo fiscale su una ditta che riforniva ristoranti cinesi e giapponesi. Era un commercio all’ingrosso di prodotti ittici, apparentemente regolare. Ma i conti non tornavano.
Chi firmava le carte era un prestanome. La vera mente? Un gruppo di imprenditori cinesi che avevano costruito uno schema perfetto per evadere il fisco: una società intestata a un fantoccio, un contratto fittizio d’affitto d’azienda e migliaia di euro in Iva e Irpef mai dichiarati. Tra il 2019 e il 2023, i soldi giravano, ma non passavano mai dal fisco. I finanzieri hanno scavato a fondo, seguendo le tracce nei conti, ascoltando testimoni, leggendo tra le righe dei bilanci. Hanno trovato non solo evasione, ma anche autoriciclaggio: i guadagni venivano reinvestiti in nuove attività in Ungheria e in Cina, cercando di allontanarli dalle grinfie dello Stato italiano.
Nel corso delle perquisizioni, sono saltati fuori 102mila euro in contanti e 20mila yuan custoditi in cassette di sicurezza, un tesoro nascosto lontano dagli occhi, ma non abbastanza dai controlli. È l’ennesima storia di finanza creativa, di prestanome usati come scudi e di capitali illeciti che si travestono da impresa. Ma stavolta, il castello di carta è crollato. E con esso, un pezzo di quel sottobosco economico che vive al margine delle regole, mentre appare sulla carta come pesce fresco per la cena di qualcun altro.