Vicenza, sentenza storica del tribunale: «Operaio morto per aver respirato gli inquinanti Pfas». Per la prima volta un tribunale ha certificato un decesso come attribuibile alla contaminazione ai Pfas. Si tratta della morte di Pasqualino Zenere, che ha lavorato come operaio alla Miteni di Trissino dal 1979, quando l’azienda era ancora la Rimar dei Marzotto, fino al 1992. Zenere è deceduto nel 2014, in seguito a un tumore della pelvi renale. A tal proposito, lo scorso martedì il tribunale di Vicenza ha emesso una sentenza storica, che dà ragione agli eredi dell’uomo, i quali avevano fatto causa all’Inail: Zenere è la prima persona che un giudice riconosce deceduta a causa dell’esposizione ai Pfoa e Pfos, che l’uomo avrebbe respirato, ingerito e che sarebbero entrati a contatto con la sua pelle durante l’orario di lavoro.
«Si tratta della prima sentenza in assoluto su questo tema, calata su un caso specifico, preciso e documentato — spiega l’avvocato Adriano Caretta, che oltre a tutelare la famiglia di Zenere porta avanti la causa per conto dell’Inca Cgil di Vicenza —. La documentazione riguarda sia le mansioni di lavoro svolte sia il nesso tra queste e la malattia che ha portato al decesso. Questa sentenza non agisce sulle responsabilità, ma sulla correlazione tra lavoro e malattia: la materia è di natura previdenziale e attiene appunto a quelli che sono i diritti previsti dalla tutela Inail». La sentenza arriva nei giorni in cui davanti alla corte d’Assise del tribunale di Vicenza si sta concludendo proprio il processo ai 15 manager della Miteni, accusata di essere la fonte della contaminazione da Pfas che ha colpito circa 350 mila persone residenti nelle province di Vicenza, Padova e Verona.
Ieri è stato il turno dell’ultimo avvocato della difesa, Salvatore Scuto, che nel processo tutela Alexandre Nicolaas Smit, Anthony Mc Glynn, Martin Leitgeb e Antonio Alfiero Nardone, dirigenti a vario titolo della Miteni. Nella sua arringa, l’avvocato ha sottolineato il condizionamento ulteriore che avviene nei «processi che hanno scosso l’opinione pubblica», per via della «continua pressione mediatica che questi fatti generano». Un meccanismo per il quale, a detta del legale, «viene fatto maturare un orientamento colpevolista, che rischia di condizionare l’azione e il contributo degli stessi soggetti processuali». Tra i casi del genere, l’avvocato ha ricordato l’attualissimo caso di Garlasco, oltre che quello relativo al delitto di Meredith Kercher e, forse più simile al caso Pfas, la vicenda del Rigopiano, citando la recente sentenza della Cassazione. Tutti questi processi, ha spiegato il legale, condividono il fatto di una ricerca spasmodica di un capro espiatorio, e ha citato alcune parole della requisitoria del pm Paolo Fietta, procedendo poi nel ripercorrere la vicenda a partire dall’estate del 2013, quando i Pfas emersero all’opinione pubblica. «Che cos’è sta roba? Non ne avevamo mai sentito parlare», la domanda fondamentale che associazioni ambientaliste e alcuni partiti politici avevano formulato in quell’occasione. Sono oltre 300 le parti civili che si sono costituite nel procedimento, con il ministero dell’Ambiente in testa: tramite l’avvocatura di Stato, ha quantificato il danno ambientale in 56 milioni di euro. Anche la Regione Veneto, le aziende sanitarie di Vicenza, Padova e Verona e il Comune di Trissino hanno presentato il loro conto. In attesa di nuove leggi italiane che recepiscano le normative Ue.
(Fonte Corriere della Sera)