Hanno devastato la seconda sezione, si sono scagliati contro gli agenti della penitenziaria e minacciano di forzare le uscite: circa 200 detenuti del carcere di Marassi, a Genova, hanno fatto scattare una rivolta nel primo pomeriggio di oggi 4 giugno. Caos all’interno della struttura ma tensione anche al di fuori, nel quartiere dove si trova il carcere, dove sono in azione carabinieri, polizia con il reparto mobile e soccorsi, ambulanze e vigili del fuoco. Le forze dell’ordine hanno organizzato un cordone di sicurezza nel caso si verificassero evasioni dal penitenziario. Secondo le prime informazioni nella sommossa sarebbero rimaste ferite almeno tre persone, tra cui un agente, in modo non grave. Non ci sarebbero dipendenti o civili presi in ostaggio, come era parso inizialmente secondo alcune indiscrezioni. Il personale sanitario del carcere è stato messo al sicuro in alcune stanze non raggiungibili dai detenuti mentre alcune insegnanti esterne sono state fatte uscire.
«Insegno qui da 18 anni – ha raccontato una di loro, Simonetta Colello – e non ho mai visto una cosa del genere». Alcuni poliziotti in tenuta antisommossa sono entrati all’interno del carcere dopo le 14 per tentare di sedare la rivolta. L’attenzione è su un gruppo di detenuti, una ventina, che si è radunato nell’area passeggio, quella più esposta al rischio di fughe. Per sicurezza la polizia locale di Genova ha fatto chiudere le strade attorno al carcere, via Del Faggio, Corso De Stefanis e piazzale Marassi. Uno dei due penitenziari di Genova (l’altro è quello femminile di Pontedecimo), è noto per il suo sovraffollamento, oltre i valori della media nazionale. I sindacati parlano di una soglia di occupazione dei posti letto del 130%, con 700 detenuti a fronte di una capienza di 530 posti.
La rivolta è scoppiata quando un gruppo di detenuti si è ribellato agli agenti scatenando il caos e prendendo possesso di una sezione. La situazione è ancora molto confusa: secondo alcune voci, ci sarebbe stato anche un tentativo di evasione. Alcuni detenuti sono sul tetto di uno degli edifici del carcere di Marassi, a Genova, controllati dalla polizia penitenziaria. Tra le ipotesi sulla rivolta, quella di un regolamento di conti tra detenuti a seguito di una aggressione avvenuta nei giorni scorsi. «Pare che sei detnuti nei giorni scorsi abbiano violentato un altro detenuto, per il quale ieri
sera sarebbe sato necessario l’accompagnamento presso l’ospedale cittadino per le cure del caso. La Polizia penitenziaria, già stremata nelle forze e mortificata nel morale, sta cercando con non poche difficoltà di contenere i tumulti, in attesa di rinforzi. Tutto questo è il segno tangibile dello stato di
degrado delle carceri, che non può essere affrontato con
interventi meramente repressivi, come l’introduzione del reato di rivolta, ma agendo soprattutto sulla prevenzione attraverso l’umanizzazione delle condizioni di lavoro degli operatori e della detenzione». Lo scrive in una nota Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria. «Con 16mila detenuti oltre i posti disponibili, omicidi, suicidi, violenze di ogni tipo, stupri e molto altro ancora in carcere non c’è un ordine, inteso come ordinato svolgimento delle normali attività nell’alveo dell’ordinamento giuridico dello Stato, a cui potersi rivoltare, da qui l«impossibilità’ del reato. Peraltro, dopo l’entrata in vigore del decreto sicurezza, oggi approvato in via definitiva dal Senato, i disordini nelle carceri sono persino aumentati. Non vogliamo attribuire a questo un nesso di causa ed effetto, ma di certo possiamo affermare senza tema di smentita che, almeno sinora, non ha funzionato neppure come effetto deterrente. Serve subito deflazionare la densità detentiva – prosegue l’Uilpa -, far cessare il caporalato di stato che si realizza con il trattenimento in servizio di poliziotti penitenziari anche per 26 ore continuative, come accaduto per esempio al carcere romano di Regina Coeli fra l’11 e il 12 maggio, rimpinguando compiutamente organici mancanti di 18mila agenti ed evitando che le pochissime assunzioni aggiuntive, 133 negli ultimi due anni e mezzo a fronte di oltre 6mila detenuti in più, finiscano negli uffici ministeriali. Va poi assicurata l’assistenza sanitaria e necessita riformare l’intero sistema».
(Fonte Corriere della Sera)