C’era un’ansia nell’aria, un’ansia mortifera, e non ne capivo bene il perché.
Era un secondo turno, non una finale. Eppure si sentiva che qualcosa di più grande stava per accadere. Forse perché in campo, oggi, c’erano due storie che non si incontrano mai per caso. Due destini opposti. Due traiettorie che – per una volta – si sono toccate in pieno.
Da una parte, Jannik Sinner: Scintilla d’Infinito, affamato di futuro, pronto a incendiare ogni campo con la calma feroce dei predestinati.
Dall’altra, Richard Gasquet: l’ultimo dei poeti, il rovescio di seta a una mano più elegante di Francia, il funambolo malinconico che per vent’anni ha suonato concerti su superfici di cemento e di sogno. E il destino, oggi, ha scritto. Ha scritto 6-3, 6-0, 6-4 in un’ora e cinquantanove minuti. Ma il punteggio è il dettaglio più irrilevante di questa storia. Perché oggi non è stata solo una vittoria. È stata una dolce eutanasia tennistica, un saluto onesto, necessario, rispettoso. Sinner ha giocato preciso, millimetrico, chirurgico. Ha variato, ha provato, ha accarezzato e infine affondato. Solo quando serviva. Solo quando non c’era più alternativa. Come una dolce Accabadora del tennis, venuta non dalla Sardegna ma dalle Dolomiti, Jannik ha portato Gasquet all’uscita senza dolore, senza rumore, senza ferocia. Solo con grazia. Con quella compassione gelida e luminosa di chi sa che il tempo è già passato. Di chi capisce che oggi non si gioca per vincere, ma per onorare. E Richard lo ha capito. Si è visto negli occhi. Nello sguardo grato. In quel sorriso mesto, consapevole, bellissimo, mentre salutava il suo campo e il suo pubblico. Era un addio. Non annunciato, non urlato. Ma vero. E lo sapeva anche Sinner. Che non ha esultato. Non ha urlato. Ha vinto con pudore, come si vincono le cose troppo giuste per essere urlate. Oggi, Jannik ha vinto come Uomo, prima ancora che come atleta. Ha vinto con rispetto, con pudore, con quella forma di amore violento e puro che appartiene solo a chi sa davvero cosa significa questo sport. E mentre il caldo romano scioglieva il cielo e il cuore, quella stretta di mano finale – occhi negli occhi – ha detto tutto. Ha detto che si può vincere senza calpestare. Ha detto che si può essere implacabili senza essere crudeli. Ha detto che si può essere fuoriclasse della vita, non solo del tennis. E ha detto, soprattutto, che questo Sinner – per quanto oggi straordinario – è ancora solo al suo cinquanta percento. E allora sì, c’è da sperare. E allora sì, per gli altri c’è da tremare.