"Le Palle Delprete"

Roland Garros 2025, sulla via di Parigi col cuore in fiamme: Sinner e il sorteggio degli Dei

E allora sia.
Sia fuoco. Sia sangue. Sia argilla. Sia terra battuta.
Il destino ha disegnato il suo tracciato col compasso sbilenco dei poeti ubriachi e dei santi con le ginocchia sbucciate. E non poteva che essere così per lui, per JannikBello, per il ragazzo del ghiaccio che ha imparato a scaldarsi col sudore, con l’attesa, con l’umiltà feroce di chi ogni giorno ha fame e mangia silenzio. Lui, la nostra Scintilla d’Infinito e di Eterno che torna a calcare uno dei terreni più prestigiosi.

Roland Garros 2025.
Il tempio.
La prova.
La montagna incantata.
E lassù, in cima, quella coppa che pare un’arca, un relitto d’antiche civiltà: la Coppa dei Moschettieri, che a osservarla da vicino sembra un cuore pietrificato. E forse lo è.
Forse sì, forse è un cuore pietrificato, pronto a battere solo per chi ha il coraggio di farsi mito.
Il sorteggio?
Crudele. Onesto. Affascinante.
Come tutti gli oracoli, non dice “se”: ti chiede “quanto vali”.

Sinner esordirà contro Arthur Rinderknech: un francese, alto come la Tour Eiffel e orgoglioso come un gallo da combattimento. Sulle sue spalle, anche sulle sue spalle, il peso di un’intera nazione che ancora sogna un figlio vincente, un erede tra i rovi. Avrà il pubblico, avrà il vento, avrà la patria: ma non avrà l’Anima. Quella è già altrove.

Poi, forse, sarà Richard Gasquet, il crepuscolo in gilet bianco. L’ultimo ballo. L’ultima piroetta di quel rovescio a una mano che sa di bisturi e poesia. Un saluto a Parigi, sulle note di Chopin. E lì, sì, lì ci sarà commozione, teatro, malinconia. Ma Jannik – che pure è tutto cuore – non potrà concederla. Perché nei sogni dei grandi, c’è posto per la compassione. Ma non per la deroga.
Poi verranno i primi veri scogli. Quelli che mordono.

Lehečka o Davidovich Fokina, entrambi con la furia nelle caviglie. Il primo è ceco e schematico, gioco pulito e idee dritte. Il secondo è spagnolo e imprevedibile come un bicchiere d’assenzio: gioca con i piedi e con l’anima, con il laccio sinistro del cuore. Sarà lì, nel terzo turno, che il torneo comincerà davvero. Sarà lì che Jannik dovrà scendere in profondità a toccare quella nota che ancora non s’ode.

Ma è nella seconda settimana che le favole si biforcano.
Qui potrebbero esserci Fils, il predestinato di Francia, il talento nuovo con la pelle che freme e le vene che sanno di Marsiglia, e Rublev, l’uragano russo dal cuore infranto, la testa fragile e bella e un dritto da altro Dio. Qui il torneo diventa sfida personale che tange orgoglio, dignità ed onore.
Qui non si gioca solo contro l’avversario, ma contro i giorni. Contro le notti insonni. Contro i dubbi. Poi ci saranno i quarti.
E lì, su quella soglia, il destino ha sussurrato un nome con l’accento british e la mano mancina: Jack Draper. L’amico. Il gemello di sguardi e silenzi. Chi li ha visti allenarsi insieme sa che si sono sfiorati con rispetto, che si conoscono come due righe scritte sullo stesso diario.
Ma l’amicizia, si sa, finisce ai piedi del Philippe Chatrier. Lì, per quelle ore, l’amicizia si cristallizza e frantuma. 
Lì non esistono fratelli.
Solo gladiatori. Finché racchetta resiste.
E poi – ah, poi – l’inferno elegante.
La semifinale.
La madre di tutte le prove.
Novak Djokovic, se ancora respira.
Alexander Zverev, se ancora crede.
Due muri, due altari. Il primo è il Re che non abdica, il secondo il Principe che non si arrende.
Contro uno o contro l’altro, Jannik dovrà non solo vincere: dovrà dichiararsi.
Dovrà dire chi è.
Non con le parole, ma con la pazienza.
Con la dedizione. E con il suo infinito coraggio.

E se poi veramente si arriverà fino a qui – e se poi sarà ancora una volta – la prima all’ombra di Parisi – finale, allora potrà essere vera e proprio Poesia.

Carlos Alcaraz, il Sole incostante che quando decide di brillare scioglie ed abbaglia.

O Casper Ruud, la Roccia.
O – perché no – Lorenzo Musetti, l’Artista.

Ma chiunque sia, sarà l’ultimo ostacolo prima dell’ennesimo Olimpo.
Sarà l’ultimo sì da strappare agli Dei.
Perché questo è il Roland Garros.
Non si vince per diritto di nascita.
Non si vince per forma.
Si vince per dolore.
Si vince per Scintilla.
Per quella fame di Infinito che solo chi è stato piccolo – e ha sputato sangue per diventar grande da solo – può riconoscere.
E allora SinnerBello, vai. Dispiega le ali e inizia a volare.
A testa bassa e cuore in petto.

Cammina su quella terra come fosse la prima volta, come fosse l’ultima, come fosse tua.
Passo dopo passo.
Set dopo set.
Col rosso addosso e la luna negli occhi.
Perché quando il sorteggio è crudele è proprio allora che nasce il fuoco.
E noi saremo lì con te. 
A guardarti salire.
A sperare che, alla fine, sia veramente Mito che diventa Infinito.