I rifiuti arricchiscono la criminalità: perché noi glielo lasciamo fare. L’inchiesta del Corriere della sera: Calano i roghi di rifiuti illegali! A prima vista sembra una bella notizia: secondo la Commissione bilaterale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti (rapporto 17 dicembre 2024) si è passati dai 2220 del 2019 ai 1.044 del 2022. Sul 2023 e 2024 i dati non ci sono, ma basta leggere le notizie di stampa per avere un’idea di cosa stiamo parlando. Ne riportiamo solo alcune:
9 aprile 2023, incendio doloso in un centro raccolta di rifiuti nel trevigiano;
4 settembre 2023, in fiamme discarica abusiva ad Afragola;
28 luglio 2024, vasto incendio a Ponte Mammolo (Roma);
17 settembre 2024, incendio in contrada Monaco (Palermo) utilizzata per lo smaltimento abusivo di rifiuti;
24 novembre 2024, in fiamme un deposito di rifiuti nella zona industriale di Brindisi;
25 novembre 2024, incendio al capannone nella zona industriale La Rustica (Roma), bruciano tonnellate di rifiuti sversati illegalmente;
9 dicembre 2024, a San Fruttuoso (Monza) deposito con rifiuti illeciti dato alle fiamme.
Ma fermiamoci a ciò che scrive la Commissione in relazione a fatti che si fermano a 2 anni fa: «Un miglioramento che non impedisce di registrare una sua estensione sia verso altre Regioni italiane, come la Puglia che verso l’estero». Nelle audizioni è emerso che «esiste un traffico di rifiuti verso la Tunisia e la Puglia, per prendere poi la direzione dell’Albania, della Macedonia del Nord, del Montenegro, della Bulgaria e della Slovacchia». Centro di smistamento del traffico il porto di Bari.
La Commissione scrive anche che va migliorato il sistema di tracciabilità dei rifiuti. È utile però ricordare che per migliorare un sistema, bisogna prima averlo «un sistema». Ebbene, ne stiamo parlando da 19 anni, ma di operativo ancora non c’è nulla.Nel 2006 il governo Prodi vara il Sistri: il sistema di controllo informatico della tracciabilità dei rifiuti. Si tratta di un trasponder da montare sui mezzi adibiti al trasporto rifiuti per registrane i movimenti. Rimane per due anni sulla carta. Nel 2008 arriva Berlusconi e mette il segreto di Stato sul progetto perché si tratta di tecnologia militare e pertanto deve essere inaccessibile agli operatori illegali. Nel 2009 la progettazione e gestione del Sistri viene affidata a una società del gruppo Finmeccanica per circa 100 milioni di euro l’anno. La data per la partenza è maggio 2011, ma poi si proroga fino al 2013. II Sistri parte, ma fra sospensione delle sanzioni per gli inadempienti, cambi di affidamento gara, malfunzionamenti e inefficienze, a dicembre 2018 si decide di dismetterlo. Peraltro senza che sia mai entrato realmente in funzione. Si va avanti altri 5 anni con i documenti cartacei, quelli che con facilità si modificano durante il tragitto. Ad aprile 2023 arriva il Rentri (Registro Elettronico Nazionale per la Tracciabilità dei Rifiuti): un sistema gestito direttamente dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che dovrebbe consentire un costante monitoraggio dei flussi attraverso la verifica dei documenti digitali di identificazione del trasporto e di carico e scarico dei rifiuti. A settembre 2023 esce il decreto direttoriale 97 del ministero dell’Ambiente che comunica le scadenze: la data per i grandi operatori di trattamento rifiuti speciali e pericolosi scade oggi, 13 febbraio 2025. Tutti gli altri a seguire, fino a febbraio 2026. Speriamo che sia la volta buona. Nel frattempo la criminalità ringrazia.Con un sistema a gestione digitale, l’emissione dei formulari di identificazione del trasporto (le bolle che dicono cosa c’è nei rimorchi dei camion) e la tenuta dei registri cronologici di carico e scarico degli impianti, saranno tutti elettronici e in tempo reale. Questo permette la condivisione istantanea delle informazioni contenute nei documenti, un costante monitoraggio dei flussi dei rifiuti e di ciascun punto di generazione del rifiuto. La realtà di oggi è molto lontana: i libri di carico e scarico degli impianti, così come le bolle che accompagnano i rifiuti sono in maggioranza cartacee. E così è impossibile sapere cosa effettivamente entra o esce dagli impianti o cosa viene trasportato dai camion, se non fermandoli e perquisendoli.
I reati avvengono in ogni fase del ciclo, dalla produzione, al trasporto, fino allo smaltimento e al finto recupero. Reati che passano dalle false dichiarazioni sulla quantità o la tipologia di rifiuti da smaltire. Le attività di traffici e smaltimento illeciti riguardano soprattutto gli pneumatici fuori uso, i gas refrigeranti, i rifiuti generati da apparecchiature elettriche ed elettroniche, gli scarti industriali, i materiali tossici. Traffici difficili stimare: le uniche cifre sono quelle che emergono dagli accertamenti delle forze dell’ordine. Nel 2022 i reati accertati sono stati 9.309, i sequestri 2.900, gli arresti 247 e le persone denunciate 10.708. Dal 2009 è stato l’anno più drammatico insieme al 2019. Anche in questo caso siamo fermi a due anni fa.
Dal 2015 il nostro codice penale prevede cinque reati ambientali: inquinamento, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale radioattivo, impedimento del controllo e omessa bonifica. Ma come si fa a perseguirli se si viaggia ancora con la carta e i controlli sono solo a campione? Diciamo che non è stata una priorità politica combattere questo tipo di criminalità. Anche perché lo smaltimento illegale è un’attività molto redditizia, e non solo per mafia, ‘ndrangheta e camorra. Scrive la Commissione d’inchiesta «è anche interesse di vari gruppi imprenditoriali, che acquisiscono ingenti quantitativi di rifiuti e, ignorando scientemente le previsioni normative, omettono di sottoporli ai necessari trattamenti e li spediscono allo smaltimento e/o al riciclo assegnando codici CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti) fasulli, con la nota tecnica del girobolla». Ma per evitare i controlli e non pagare gli oneri di smaltimento quei rifiuti finiscono scaricati di notte da qualche parte o in un capannone e poi bruciati.Anche il ciclo legale dei rifiuti non funziona come dovrebbe. Nel 2022, ultimo dato disponibile, abbiamo prodotto 493,6 kg di rifiuti urbani a testa: l’1,9% meno del 2021. È la cifra più bassa da 13 anni a questa parte. Il 18% è andato nei termovalorizzatori, il 17% discarica e il 65,2% nella raccolta differenziata. Una percentuale alta, ma che si ferma a metà strada perché se non ci sono abbastanza impianti per riciclare la differenziata, sei punto a capo. E le direttive europee del 2018 sull’economia circolare stabiliscono che entro il 2035 il riciclo deve raggiungere il 65%, mentre la quota conferita in discarica dovrà scendere al 10%, e in futuro portare a zero la percentuale dei rifiuti smaltita nei termovalorizzatori. Come è messa l’Italia? Nel 2022 abbiamo riciclato il 49,2%. In realtà il nord con il 57,5% dei rifiuti riciclati e il 14,6% in discarica non è lontano dagli obiettivi europei; la Sardegna ricicla il 60,7%, ma manda ancora il 30% in discarica; il centro e il sud sono molto lontani con poco più del 40% riciclato e, rispettivamente, il 35,4% e il 39,5% ancora in discarica. La maglia nera va alla Sicilia che ricicla poco più del 40% e spedisce tutto il resto (quasi il 60%) in discarica, tanto che nel giro di un anno esaurirà tutti i siti presenti in Regione.Come si spiegano percentuali così differenti? Il primo motivo è la collocazione degli impianti. Quelli per i rifiuti organici 225 sono al nord, conto i 46 del centro e gli 87 del sud. Dei 47 termovalorizzatori: 32 al nord, 6 al centro e 9 al sud. Delle 117 discariche: 50 al nord, 25 al centro, 42 al sud. E così i rifiuti viaggiano su e giù per la Penisola. Nel 2022 il Centro ha dovuto smaltire il 16% dei suoi rifiuti, e il sud il 23%, nelle regioni del Nord. Utilitalia ha calcolato 140 mila viaggi di camion per 76 milioni di chilometri percorsi. Viaggi che hanno un impatto ambientale di oltre 50.000 tonnellate di CO2 e il cui costo finisce nelle bollette Tari dei cittadini soprattutto del centro-sud: 75 milioni di euro solo nel 2022. Il secondo motivo è l’organizzazione della raccolta nei comuni. Le differenziate di plastica, vetro e carta sono partite in tutta Italia, ma al centro-sud il 5% dei Comuni non ha una raccolta dell’organico. Per quel che riguarda i rifiuti tessili, finiscono nell’indifferenziata il 30% di quelli prodotti al Sud e il 20% di quelli prodotti al centro nord, nonostante dal 1 gennaio 2022 ci sia l’obbligo per legge di differenziare gli abiti usati e gli altri rifiuti tessili. La raccolta differenziata del legno invece funziona solo al 42% dei Comuni al sud e al 71% dei Comuni al centro. Il terzo motivo sono i nostri comportamenti anche lì dove il riciclo è possibile. I dati ci dicono che abbiamo mandato in discarica il 20% dell’acciaio, il 22% dell’alluminio, il 35% del legno e il 20% del vetro.
Se tutto funzionasse al meglio gli impianti presenti oggi in Italia non sarebbero comunque sufficienti a centrare gli obiettivi europei. Secondo Utilitalia servono 4 nuovi termovalorizzatori (1 al sud, 1 in Sicilia e 2 al centro, compreso quello di Roma pronto nel 2026). Per l’organico, invece, al Centro mancano 5 impianti, al Sud 9, in Sicilia 3, ma il problema dovrebbe risolversi entro la fine del prossimo anno, con i soldi del Pnrr. Rimane il tema dell’indifferenziata e dei termovalorizzatori e, se non si provvede, l’Italia rischia di pagare le pesanti sanzioni europee. Nel mentre i gravi problemi ambientali continueranno ad essere scaricati sulla salute dei nostri cittadini e dei nostri territori.