«Sì, abbiamo saputo della storia, ma non ci servono riferimenti precisi che ci aiutino a comprendere cos’è accaduto. Ho dato incarico ai miei dirigenti di contattare la signora e invitarla nei nostri uffici in modo da capire come si sono svolti i fatti. Se sarà necessario istituirà una commissione d’inchiesta per andare sino in fondo e se accerteremo responsabilità prenderemo i provvedimenti necessari». Ieri sera il direttore generale della Asl di Taranto, Gregorio Colacicco, pensava alla storia, raccontata da Taranto Today, dell’operaio ex Ilva chiamato dall’azienda ospedaliera per sottoporsi a un intervento chirurgico ma la Asl ignorava che, nel frattempo, l’uomo era morto.
Ammalato con un tumore al duodeno, era stato curato con fermenti lattici prima che qualcuno scoprisse la vera diagnosi. La triste vicenda, così come raccontata dalla vedova, comincia nel 2023. Il 45enne Antonio presenta forti dolori allo stomaco e il medico curante, senza sottoporlo a visita, gli prescrive una terapia con fermenti lattici. A questo primo passaggio la Asl è estranea, ma la domanda riguarda il medico di base che non ha neanche visitato il paziente. Sei mesi dopo viene a galla la vera ragione dei dolori all’inizio di una trafila di visite, quasi tutte a pagamento. L’uomo fa un’ecografia addominale, poi una tac con contrasto in una struttura della provincia di Taranto, in regime di intramoenia. Gli dissero che dovevano rivolgersi a un ematologo a Taranto senza fornire spiegazioni. Cristina e Antonio si rivolgono privatamente allo specialista che comprende subito di cosa si tratta, ma in mancanza di ulteriori approfondimenti non può andare oltre la diagnosi di linfoma.
Manda perciò la coppia a un radiologo interventista il quale guarda la tac e dice che serve un chirurgo.
A Taranto, finalmente, questo medico garantisce il ricovero dell’operaio al Santissima Annunziata e qui finalmente diagnosticano: linfoma non Hodgkin a cellule T, un tumore molto aggressivo. Viene avviata la terapia con sedute di chemio e dopo dodici mesi l’organismo del paziente non regge più. Ma alla storia manca ancora l’ultimo capitolo. La beffa, sottoforma di una telefonata che arriva dalla prima struttura ospedaliera consultata all’inizio – dove era stato detto che per l’intervento c’era da aspettare due anni – che annuncia alla signora che il marito era stato inserito in lista per l’operazione. Un macabro scherzo visto che era già deceduto. La vedova si domanda come sia possibile che il sistema sanitario funzioni in questo modo, chiamando dopo due anni una persona con un tumore, come sia accettabile l’esistenza di queste liste d’attesa così lunghe, anche se ancora non si comprende chi le abbia detto che c’erano due anni di attesa.
(Fonte Corriere della Sera)