Il Ponte sullo Stretto di Messina torna al centro del dibattito nazionale per l’ennesimo scandalo. Ancora una volta, a fare notizia è il lato oscuro di un’opera mai iniziata e già irrimediabilmente compromessa da infiltrazioni mafiose, sprechi milionari, decisioni surreali e fondi dirottati. Una miscela esplosiva che disegna uno scenario inquietante da cui emerge la fotografia di un’Italietta che continua a inciampare nei suoi peggiori vizi.
Secondo quanto emerso dalle recenti indagini della procura di Caltanissetta, coordinate dal procuratore Salvatore De Luca, l’ombra delle cosche si sarebbe allungata ancora una volta sull’opera simbolo del grande bluff infrastrutturale italiano. Le intercettazioni disposte da cinque procure antimafia – tra cui quelle di Reggio Calabria e Catanzaro – raccontano di un fermento criminale preoccupante: boss di ‘ndrangheta e Cosa nostra già pronti a spartirsi i futuri appalti milionari del ponte, acquistando terreni strategici e riallacciando contatti con la politica locale. Una trama già scritta e consolidata in quaranta lunghi anni durante i quali questo progetto si è rilevato una vergognosa mangiatoia senza fondo a cui le mafie hanno attinto a piene mani per moltiplicare affari, riciclare denaro e consolidare potere.
A rendere il quadro ancora più inquietante è l’indagine a carico di Michele Prestipino, procuratore aggiunto presso la Direzione nazionale antimafia e volto storico della lotta alle cosche, accusato di rivelazione di segreto d’ufficio aggravata dall’agevolazione mafiosa. Secondo l’accusa, Prestipino avrebbe condiviso dettagli sensibili delle indagini con Giovanni De Gennaro, presidente del consorzio di imprese Eurolink incaricato della realizzazione dell’opera, e con Francesco Gratteri, consulente della società WeBuild, principale socio del consorzio. Prestipino per il momento si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma se le accuse fossero confermate, si tratterebbe di un colpo devastante alla credibilità dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata. Ma soprattutto, sarebbe l’ennesima conferma di quanto questo ponte sia diventato un simbolo di opacità, di corruzione e di connivenze trasversali.
Il Partito Democratico locale ha già espresso una netta contrarietà al progetto, definendolo “un canale diretto per interessi illeciti e affarismi”, oltre che una follia sotto il profilo ambientale ed economico.
“Notizie di questo genere confermano ciò che denunciamo da tempo: il progetto del ponte sullo Stretto è una gigantesca operazione opaca che apre le porte alle infiltrazioni mafiose e al saccheggio del territorio. Le ultime notizie, con boss che fanno incetta di terreni e società pronte a spartirsi subappalti milionari, sono gravissime e dimostrano quanto questa opera sia più utile alla criminalità organizzata che ai cittadini.” ha dichiarato il presidente provinciale Pd Armando Hyerace.
A supportare questa posizione ci sono anche i pareri tecnici degli enti competenti: l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha ribadito già da tempo i rischi sismici dell’area, mentre il mondo accademico continua a denunciare l’assurdità di un’opera faraonica in una delle zone più fragili del Paese. Volete sapere infatti come ha fatto il Ministero dell’Ambiente ad ottenere il via libera per l’attuazione del progetto nel novembre scorso? Grazie all’ok della cosiddetta “Commissione VIA VAS”, un organismo atto a giudicare l’impatto ambientale delle opere pubbliche e garantire il rispetto di tutti i criteri ecosostenibili, che in teoria dovrebbe essere indipendente e super partes. E invece, pensate che casualità, questa volta era formata da numerosi politici e amici dei partiti di maggioranza, in alcuni casi addirittura lontani anni luce delle specifiche competenze richieste dalla materia, come nel caso dell’avvocata esperta in diritto di famiglia Luisana Malfatti, in quota Lega, e del consigliere comunale meloniano di Albano Laziale, Roberto Cuccioletta, titolare di una società di ingegneria e specializzato nella progettazione di impianti di ascensore!
Ma se ancora non vi bastasse, è opportuno ricordare anche il paradosso più eclatante dell’intera vicenda! Sapevate che la progettazione e la costruzione dell’opera sono state riaffidate alla società “Stretto di Messina S.p.A.”, un ente già fallito, liquidato da dieci anni e protagonista di un contenzioso che rischia di costare allo Stato, e quindi a tutti noi, la cifra astronomica di 700 milioni di euro? Un paradosso degno dei migliori capolavori kafkiani: rischiamo di dover pagare una maxi-penale per un’opera che non solo non è mai stata avviata, ma che è già costata milioni in consulenze, progetti e promesse disattese!
Per chiudere il quadro in bellezza, non si può dimenticare certamente l’ultimo schiaffo in ordine temporale sferrato dal governo Meloni attraverso la legge di bilancio 2025, con la quale è stato deciso di aumentare i fondi per il ponte di ben 3 miliardi circa, sottraendoli al Fondo per lo Sviluppo e la Coesione. Soldi che avrebbero dovuto essere usati per ridurre il divario infrastrutturale tra Sud e Nord, per migliorare strade, ferrovie, trasporti pubblici e agevolare la vita di milioni di cittadini stremati, anziché finire nella voragine di un progetto insensato, utile solo e unicamente alla propaganda politica di Matteo Salvini e dell’attuale maggioranza.
Il ponte sullo Stretto non è solo un’opera inutile: è un monumento all’incapacità di governare, alla sottomissione della politica alle logiche affaristiche e alla sistematica umiliazione dei territori meridionali. È la cronaca di una morte annunciata, dove a morire per l’ennesima volta è la fiducia dei cittadini nello Stato e nelle istituzioni.
La domanda non è più “se” il ponte si farà. La vera domanda è: a chi conviene davvero farlo? Certamente non ai siciliani e ai calabresi che ogni giorno sono costretti ad affrontare chilometri di strade dissestate, o viaggi della speranza su treni e autobus obsoleti anche per fare una visita medica urgente. A loro non serve un ponte. Serve giustizia, sicurezza, e rispetto. Tutto ciò che quest’opera continua a negare.