Certe cose, sulla carta, sembrano folli. Anche solo a pensarle. Cose talmente strane e distanti fra loro, da sembrare impensabili. Che ne so, Tom Cruise con Alvaro Vitali in Mission Impossible. O Tim Burton che dirige Monica Bell…ah, no, quello purtroppo è successo. Vabbè, comunque ci siamo capiti. E comunque oggi è successa una di quelle cose che mai, ma proprio mai, avrei immaginato. Però questa è bella, eh. Bella assai. Tipo stella cometa che indica una via che prima neanche vedevi, che però esiste. E allora, cosa è successo? È successo che Bocelli ha inciso una canzone – e fatto un video – con Jannik Sinner.
Sì, avete letto bene. Non è un dissing, non è un featuring come quelli che imperversano, specialmente d’estate. No, niente di tutto questo. E no, Sinner non canta. Non prende la nota. Non finge di saperlo fare. Parla. In inglese. Dice piccole perle come “Talent doesn’t exist” e “Be yourself”. Detta così, sembrerebbe un reel motivazionale. E invece fregna. Invece funziona.
Perché Jannik è uno che se ti guarda e dice “Improve every day”, tu ci credi. A occhi chiusi e orecchie aperte. Il brano si chiama Polvere e Gloria e già lì capisci che il mood non è da Spotify in macchina, ma da silenzio e campo vuoto. Con l’anima pronta a riempirsi. Bocelli canta come sempre – ampio, solenne, antico. Sinner gli risponde con voce bassa, ferma, senza mai cercare applausi. Come in campo, come nella vita.
È insomma un duetto vero tra due che sembrano non c’entrare niente e che invece si riconoscono: uno con la voce, l’altro col tennis, entrambi senza fronzoli, senza bisogno di essere forzatamente simpatici, senza ansia da performance. La gloria arriva dopo. La polvere, invece, è sempre lì. Quando vinci, o quando ci cadi dentro e sei pronto a rialzarti. Il video fa il resto: campi, immagini d’infanzia, la tenuta toscana di Bocelli, spighe, luce calda, silenzi. Tutto perfettamente curato per emozionare. Ma stavolta non c’è finzione. Non è marketing che ti urla in faccia. È solo un frammento sincero, quasi fuori tempo. Poteva sembrare un’operazione patinata, invece è un gesto. Quasi una dichiarazione di poetica.
Perché – come sempre – c’è chi urla. E poi c’è chi fa. Con rispetto, con grazia, con la voce che ha. E Jannik, anche stavolta, ha scelto di non recitare. Ma di esserci. Ed è per questo che tutto torna. Ed è per questo che – anche se fuori dalla sua solita orbita – Scintilla suona bene.