Picchia il figlio con calci e cinghiate, madre condannata a tre anni e sei mesi: “Ossessionata da igiene e istruzione”
Una madre ossessionata dall’idea di crescere un figlio perfetto. Ma quella che avrebbe dovuto essere una cura educativa si è trasformata in un incubo fatto di violenze, urla e dolore. È stata condannata a tre anni e sei mesi di reclusione dai giudici milanesi la donna che per anni ha sottoposto il proprio figlio a continue umiliazioni fisiche e psicologiche, e violenze, fino a ridurlo a vivere nel terrore. Lo riporta il Corriere della Sera, raccontando il caso che ha scosso l’opinione pubblica e ha portato a una dura sentenza da parte del Tribunale di Milano.
Il bambino, oggi adolescente, ha raccontato agli psicologi e agli inquirenti una quotidianità fatta di punizioni spietate per ogni minimo errore. Bastava una scarpa lasciata fuori posto, un voto non all’altezza, un po’ di polvere su un mobile per scatenare la furia della madre. Le punizioni? Calci nello stomaco, schiaffi in faccia, cinghiate sulla schiena. Il suo corpo portava i segni di quella che la madre definiva “educazione severa”, ma che per i giudici è stata una vera e propria condotta di maltrattamento continuato e aggravato.
Il caso è emerso dopo l’intervento dei servizi sociali, allertati dalla scuola del ragazzo. I docenti avevano notato il suo comportamento chiuso, le sue difficoltà a relazionarsi e alcuni lividi mai spiegati. Da lì è partita l’indagine, che ha portato alla luce anni di vessazioni sistematiche. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, la donna avrebbe agito in nome di un’ideologia personale distorta: igiene, disciplina, eccellenza scolastica, tutto doveva essere perfetto. In tribunale ha provato a difendersi affermando di aver agito “per il suo bene”, ma le testimonianze e le prove raccolte hanno disegnato un quadro molto diverso: una madre incapace di controllarsi, che ha abusato del proprio ruolo di genitore.
La sentenza ha stabilito anche l’interdizione dai pubblici uffici e la decadenza dalla responsabilità genitoriale. Il ragazzo è stato affidato a una struttura protetta e sta seguendo un percorso terapeutico per superare il trauma subito.
Dietro le porte chiuse di una casa apparentemente normale si è consumata una violenza quotidiana che non lasciava spazio a carezze, comprensione o perdono. Solo controllo, durezza, ossessione. Il tribunale ha dato un nome a tutto questo: maltrattamento. E ha dato al ragazzo la possibilità di iniziare una nuova vita, lontano da chi avrebbe dovuto proteggerlo e invece gli ha insegnato la paura.