Il primo maggio si festeggia la Festa dei Lavoratori, una ricorrenza che affonda le sue radici negli Stati Uniti, dove, tra New York e Chicago, si svolsero importanti manifestazioni a sostegno dei diritti dei lavoratori, tra cui la conquista storica della giornata lavorativa di otto ore. A partire dal 1887, questa giornata simbolica si diffuse in molti Paesi del mondo, arrivando in Italia intorno al 1890, con le prime manifestazioni tenutesi proprio a Torino.
Durante il regime fascista, la celebrazione venne abolita perché ritenuta un pericolo sovversivo. In sua sostituzione, il regime impose il 21 aprile, data della fondazione di Roma, come nuova ricorrenza. Solo nell’aprile del 1946 la Festa dei Lavoratori fu ufficialmente ripristinata, trovando poi stabile riconoscimento tra le festività nazionali nel 1949.
Oggi, però, il primo maggio assume un significato diverso. In un mondo dominato da algoritmi, precarietà e lavoro frammentato, questa festa è diventata anche uno specchio delle contraddizioni contemporanee. Gli “occhi” digitali della società odierna – tra piattaforme, controllo, flessibilità estrema – mostrano lavoratori sempre più soli, spesso privi di tutele reali e schiacciati da logiche disumane.
Festeggiare il lavoro, oggi, non significa solo ricordare le lotte del passato, ma interrogarsi su che tipo di lavoro vogliamo per il futuro: tutelato o usa e getta? Stabile o invisibile? Il primo maggio resta un richiamo forte, necessario, per rivendicare dignità, diritti e giustizia in un mondo del lavoro che continua a cambiare, troppo spesso a scapito di chi lo vive.
(CoronacheTorino.it)