Omicidio del 15enne Emanuele Tufano a Napoli, arrestati i ragazzi che sui social avevano foto con pistole e kalashnikov
Città violente e baby gang senza limiti. Quello che è successo a Napoli ha dell’incredibile, ma purtroppo è realtà. Mitragliette automatiche, pistole a canna lunga, kalashnikov. Armi da guerra impugnate da ragazzini che vivono la città come un campo di battaglia. Ci sono anche le immagini estrapolate dai social agli atti dell’inchiesta che ha portato all’esecuzione di 14 ordinanze nei confronti di giovanissimi nell’ambito delle indagini sull’omicidio di Emanuele Tufano, rimasto ucciso a 15 anni durante una scorribanda armata.
I profili social raccontano di giovani, giovanissimi, che sono diventati i protagonisti della «malanapoli», cresciuti nel mito di un gangsterismo da serie televisiva e di una malcelata illusione di impunità.
Il contesto che ha portato alla morte di Tufano, secondo quello che è stato accertato dalle indagini, era quello di una «guerra tra paranze». Tufano avrebbe fatto parte di un gruppo di giovani che avrebbero sconfinato nel territorio di un altro gruppo di giovanissimi. Qualcuno racconta che si sarebbero fatti largo sparando. Lungo la strada, una traversa del corso Umberto I, a pochi passi dalla stazione centrale, la polizia ha repertato venti bossoli. È lì che quelle armi celebrate sui social hanno iniziato a sparare. Tutto inserito in un video diffuso dalla polizia che mette in sequenza quelle immagini.
Poi, in un altro video, la notte di violenza è stata raccontata «in chiaro». I motorini che partono, che attraversano la città dal rione Sanità fino al corso Umberto. Lì, in una traversa, vengono intercettati da una paranza del luogo. L’incontro diventa subito scontro. Nel video si sentono gli spari e le urla. Pochi secondi, poi la fuga. Oggi l’inchiesta rivela che a colpire e uccidere Tufano fu in realtà “fuoco amico”. L’inchiesta continua.
(Fonte Corriere della Sera)