Lucca è una città relativamente piccola, dove spesso ci si conosce un po’ tutti, e dove le notizie volano velocissime. È il classico posto dove succede raramente qualcosa di eclatante. Ma a volte, anche in città del genere, accade qualcosa che ribalta la calma quotidiana proiettando la città alla ribalta nazionale, su stampa e telegiornali, quando ancor non esistevano il web o i social. Erano gl anni in cui coppiette venivano ammazzate, erano gli anni del “Mostro di Firenze”. Un sabato sera, il 21 gennaio 1984, la calma della città venne spezzata da 6 colpi di pistola. Un uomo e una donna, Paolo Riggio e Graziella Benedetti, furono uccisi a sangue freddo. Nessun testimone. Nessuna fuga. Paolo, 34 anni, e Graziella, 31, stavano insieme da dieci anni. Lui, ex camionista e invalido civile, lei operaia in un calzaturificio. Volevano andare a vivere insieme, stavano cercando una casa. Quella sera erano andati a cena nella loro trattoria abituale, “La Cantina di Alfredo”, a Colognora di Compito. Alle 22:00 circa sono usciti dal locale. Poco dopo, si sono fermati in un’area isolata sulle rive del Serchio, a Sant’Alessio. Il mattino successivo, non vedendoli rientrare, il padre di Paolo ha cominciato a cercarli. È stato lui a trovarli. I due corpi erano ancora seduti nella Fiat 132, i sedili reclinati. Il finestrino anteriore sinistro era stato frantumato. Paolo colpito alla gola e alla testa, Graziella uccisa con quattro colpi, due dei quali al volto.
Gli elementi raccolti dalle indagini consentono di delineare con maggior precisione la dinamica del delitto. Tra gli aspetti sui quali gli inquirenti mostrano sicurezza, e che si ritiene verosimile in assenza della perizia balistica, attualmente non disponibile, è la modalità con cui è stato infranto il vetro anteriore lato guidatore dell’auto. Il vetro è stato rotto con un’arma contundente, forse il calcio della pistola usata nell’aggressione. Come emerso dall’analisi delle testimonianze e dai rilievi tecnici, sono stati esplosi complessivamente sei colpi di pistola contro i due giovani, tutti passanti e diretti ai bersagli. Sono stati ritrovati tre bossoli: uno all’esterno del veicolo, due all’interno. Si supporre che i bossoli mancanti si trovassero all’esterno e che non siano stati recuperati a causa delle condizioni del terreno, che erano fangose a causa della pioggia. Un elemento chiave dell’indagine è il ritrovamento della borsetta di Graziella Benedetti, trovata a poche decine di metri dall’auto e presumibilmente in possesso dell’assassino al momento della fuga. È improbabile che l’aggressore l’abbia prelevata attraverso il finestrino infranto, data la difficoltà di raggiungere l’interno dell’abitacolo. La spiegazione più coerente, confermata dai dati della scena, è che la borsetta sia stata consegnata volontariamente, presumibilmente sotto minaccia, insieme al portafoglio.
La sequenza degli eventi:
I due giovani avevano parcheggiato l’auto in una piazzola, chiudendosi dentro con le sicure attivate. Graziella aveva probabilmente posato la borsetta sul sedile posteriore e reclinato i sedili anteriori per cercare maggiore comodità. Poco dopo, il vetro anteriore lato guidatore è stato infranto con un colpo di un’arma contundente. A quel punto una pistola è stata puntata al collo di Paolo, con la richiesta di consegnare soldi e borsa. Si crede che nel momento in cui l’aggressore ha allungato il braccio all’interno per ottenere la borsetta, sia stato esploso il primo colpo, ferendo mortalmente Paolo. Da quel momento, l’assassino ha sparato più volte verso Graziella, fino a completare i sei colpi totali. Dopo l’esplosione degli spari, l’assassino, probabilmente confuso o in preda al panico, ha abbandonato la borsetta a poca distanza dall’auto ed è fuggito. L’arma impiegata è una pistola calibro 22, i proiettili utilizzati erano di marca Lapua, di produzione finlandese non particolarmente diffusa sul mercato italiano dell’epoca. I dati emersi mostrano l’assenza di tracce attribuibili a più soggetti sulla scena. Tutti i colpi sono stati esplosi dalla stessa arma e non si rilevano segni della presenza di eventuali complici.
Il possibile legame con il Mostro di Firenze:
Il duplice omicidio Riggio-Benedetti è stato, fin dalle fasi iniziali dell’inchiesta, affiancato alla serie dei cosiddetti “delitti collaterali del Mostro di Firenze”. Si tratta di omicidi compiuti in contesti simili: in auto, ai danni di giovani coppie appartate. Ma in cui l’arma utilizzata è diversa da quella ufficialmente associata al Mostro, ossia una pistola Beretta calibro 22 Long Rifle con caricatore da 8 colpi, matricola abrasa.
Nel caso Riggio-Benedetti, pur essendo stata utilizzata una pistola dello stesso calibro, si tratta con ogni probabilità di un modello diverso. Nonostante questa discrepanza, alcuni investigatori e osservatori, tra cui l’investigatore privato Davide Cannella, hanno suggerito un possibile collegamento, basato non solo sulla dinamica dell’aggressione, ma anche sull’uso di munizioni non comuni e sull’evidente freddezza del modus operandi. L’associazione si fonda su analogie operative: la scelta di colpire coppie appartate, l’utilizzo di una pistola calibro 22, l’assenza di movente personale e la dinamica fulminea dell’attacco. Emergono elementi chiari relativi alla dinamica dell’aggressione, al tipo di arma impiegata, alla posizione delle vittime e ai reperti raccolti. Il contesto dell’aggressione, la modalità di esecuzione, e alcuni elementi tecnici, come ad esempio la scelta del calibro e delle munizioni, hanno innescato parallelismi con altri noti casi di cronaca nera. La pensa così anche il criminologo Davide Cannella: “Si, io sono quasi certo, che si tratti del mostro di Firenze, stesso modus operandi, e durante la sua permanenza qua a lucca, ha lasciato diverse tracce”. Mostro che non è mai stato identificato davvero in tutti questi anni. Tuttavia, ad oggi, il duplice delitto Riggio-Benedetti resta un caso a sé, senza un’identificazione certa del responsabile e con un movente ufficialmente irrisolto.