Migliaia di persone si sono radunate ad Afragola per l’ultimo saluto a Martina Carbonaro, la 14enne uccisa dal suo ex fidanzato Alessio Tucci, reo confesso. In tarda mattinata è giunta anche una corona di fiori inviata dalla presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni. All’arrivo del carro funebre un grido si è lavato dalla folla: «Evviva Martina». Applausi scroscianti e tante lacrime. Ma in tanti hanno urlato: «Giustizia, giustizia», e poi «Assassino!». Molti di loro erano solo bambini. La bara bianca di Martina è entrata in chiesa accompagnata da un lungo applauso. Ad accoglierla è stato il sindaco di Afragola, Antonio Pannone. «Martina sei la figlia di tutti noi», hanno urlato alcune donne. Alla cerimonia, officiata dall’arcivescovo di Napoli, il cardinale Mimmo Battaglia, sono presenti, tra gli altri, il sottosegretario Pina Castiello ed il prefetto di Napoli, Michele di Bari.
L’omelia.
«È il momento del dolore e diventa il momento della preghiera. C’è bisogno della preghiera in questo momento. Noi non preghiamo per Martina, preghiamo con Martina», ha detto Battaglia iniziando la messa. Battaglia ha continuato con parole forti, toccanti, parlando di una «tragedia che sta attraversando i nostri adolescenti e non di meno gli adulti»: «Una generazione che spesso cresce senza mappe, senza guida, senza veri riferimenti. Una generazione smarrita, sola, connessa eppure disconnessa dalla vita vera». Poi, si è voluto rivolgere ai ragazzi, «a quelli che non sanno più gestire la rabbia, che confondono il controllo con l’affetto, che pensano ancora che amare significhi possedere. Che vedono la donna come qualcosa da ottenere, da tenere, da non perdere mai. Che se vengono lasciati si sentono umiliati, feriti, e trasformano il dolore in odio. Un odio che uccide». Poi l’arcivescovo parla agli adulti: «A noi. Genitori, educatori, preti, formatori, politici. Che mondo stiamo costruendo per questi ragazzi? Che strumenti diamo loro per leggere le emozioni, per affrontare la delusione, per attraversare la frustrazione? Come li stiamo accompagnando a diventare uomini e donne capaci di rispetto, di tenerezza, di libertà? Non possiamo più rimandare. Non possiamo più dire “succede agli altri”. È successo qui. A Martina. A 14 anni. E questo deve bastare». E mentre dice ancora una volta «basta violenza» e si augura un «mondo dove nessuna ragazza debba più aver paura di amare», non trattiene le lacrime, l’arcivescovo Battaglia, e i fedeli accompagnano la sua commozione con un lungo applauso.
Il femminicidio.
Aveva 14 anni. Si chiamava Martina Carbonaro. Viveva ad Afragola, in provincia di Napoli. È stata uccisa in un locale abbandonato del palazzetto dello sport. Con una pietra. A colpirla, secondo la confessione, è stato l’ex fidanzato. Alessio Tucci, 19 anni. L’ha colpita più volte alla testa. E Martina, prima di morire, ha sofferto.
A confermarlo è l’autopsia, eseguita all’ospedale San Giuliano di Giugliano in Campania. I medici hanno rilevato almeno quattro colpi sul cranio, tra la fronte e la nuca. Nessuno di quei colpi è stato immediatamente mortale. Martina è morta per dissanguamento. La morte è arrivata dopo. C’è stato un tempo, breve ma reale, in cui era ancora viva. E sola.
Secondo quanto emerso dalle indagini della Procura di Napoli Nord, Martina avrebbe rifiutato un abbraccio. Sarebbe bastato quello a scatenare la reazione di Alessio Tucci. È la versione fornita dal ragazzo dopo il fermo. Il movente, secondo gli inquirenti, è tutto lì.
Martina non è una storia. Era una persona. Una ragazza che andava a scuola, usciva con le amiche, aveva sogni e progetti, come chiunque alla sua età. Invece è morta, da sola. Non si può morire a 14 anni. I funerali si sono tenuti il 3 giugno ad Afragola, dove il Comune ha proclamato il lutto cittadino.
In queste ore si è parlato anche della reazione della madre. Ha rilasciato diverse interviste, è apparsa in TV. In molti hanno notato un tono distante, pacato, inaspettato per una madre che ha appena perso una figlia in modo così violento. L’opinione pubblica si è divisa. Alcuni si sono interrogati sul perché di tanta freddezza apparente, altri hanno giudicato. Ma dietro ogni reazione c’è una persona, e il dolore non ha un solo volto. La sofferenza non sempre urla, non sempre si mostra. E, in alcuni casi, può sembrare ferma mentre invece brucia dentro.
Martina è l’ennesima vittima di femminicidio. Anche se aveva solo 14 anni, il suo nome si aggiunge a una lista che continua a crescere. Uccisa da chi diceva di volerle bene. Da chi non ha accettato un “no”.
La giustizia farà il suo corso. Ma Martina non tornerà. Nessuno potrà ridarle il tempo, la vita, gli anni che le sono stati tolti.