MELONI CALA LA MASCHERA E MINIMIZZA SUI DAZI DI TRUMP CHE STANNO PER AFFONDARE L’ITALIA E IL RESTO D’EUROPA
Dopo settimane di silenzi e fughe, la Presidentessa del consiglio ha calato finalmente la maschera schierandosi, come sempre, dalla parte sbagliata della storia. Ma facciamo un passo indietro per capirne di più. I malumori nella maggioranza si erano acuiti già da qualche giorno, dalla famosa telefonata del 21 marzo fatta dal vicepremier leghista Matteo Salvini al numero due della Casa Bianca, J.D.Vance, gesto che aveva provocato l’immediata chiosa stizzita del ministro degli Esteri Antonio Tajani: “Un’iniziativa autonoma e non concordata. La politica estera italiana la decidiamo io e la premier Giorgia Meloni”. Una posizione netta quella del segretario di Forza Italia, da sempre contrario al cieco servilismo ideologico dell’alleato nei confronti dell’amministrazione americana, riassunta nelle parole del presidente del Ppe, Manfred Weber: “Bisogna smettere di seguire i populisti, l’amministrazione americana è per definizione nostra partner, ma tutti capiscono che Trump per noi è una sfida. E io sono preoccupato che Salvini e altri del gruppo dei Patrioti lo ammirino, perché Trump ora vuole imporre i dazi contro i prodotti europei.” In questa querelle si è inserita, inaspettatamente a gamba tesa previa lunga latitanza, la premier Meloni con una sconcertante intervista rilasciata al Financial Times (la prima a un giornale straniero da quando è entrata in carica nel 2022), in cui ha cercato di tenere come al solito il piede in due scarpe senza riuscirci. Dopo aver affermato che il vicepresidente Vance “ha ragione su tutta la linea quando parla di un’Europa che ha dimenticato i suoi principi di libertà e democrazia” (anche quando ci definisce parassiti quindi?), ha svelato a poco poco il suo vero volto antieuropeista, sciorinando una serie di affermazioni sconvolgenti che avranno sicuramente gravi ripercussioni sulla nostra già precaria posizione in Ue. Secondo Meloni, infatti, scegliere tra gli Stati Uniti ed Europa “sarebbe infantile e superficiale” perché “Donald Trump non rappresenta un avversario, bensì il primo alleato i cui attacchi non sono mai stati rivolti al popolo europeo, ma alla sua classe dirigente” un po’ troppo polemica. Il picco di surrealismo è stato però raggiunto quando il giornalista ha iniziato a incalzarla sul pericolo allarmante dei dazi. Sapete quale è stata la risposta della nostra presidentessa patriottica? Anziché ammettere la figuraccia internazionale per aver creduto alle promesse di Tycoon, certa del fatto che la loro “amicizia” ci avrebbe preservati dalla guerra commerciale, ha adottato la sistematica tattica del gioco delle tre carte, buttandola in caciara come suo solito, arrivando persino a sostenere che “il protezionismo nasconde opportunità – e che – ai dazi non bisogna reagire d’istinto ma con la calma”, che tradotto è in pratica un inquietante invito a una bieca sottomissione per non inimicarsi gli amici d’oltreoceano (e magari ringraziare pure)!
Il problema è che mentre Meloni continua a giocare alla fedele cheerleader dei miliardari americani, il 2 aprile sul nostro Continente si abbatterà la scure delle tariffe doganali al 25% e a farne le spese saranno milioni di cittadini europei, e soprattutto italiani, con ben 27mila posti di lavoro a rischio. Secondo lo stesso Istat infatti, “negli ultimi quindici anni, la crescita del nostro sistema produttivo è stata sostenuta prevalentemente dalla domanda estera, in particolare da quella statunitense” e solo nel 2024 le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti hanno raggiunto i 65 miliardi di euro, dunque vi è il dubbio concreto che più di 23mila imprese nostrane non riescano a reggere il peso di contrazioni così ingenti, generando un impatto significativo sull’intera economia nazionale che rischia di perdere dai 4 e 7 miliardi di euro, (stima ufficiale calcolata da Prometeia, istituto di previsioni economiche).
A risentire del duro colpo saranno in particolare quattro settori: automotive (30,7%) o altri mezzi di trasporto come yacht e moto (34%), farmaceutico (30,7%) e in cima alla lista quello degli alcolici (39%). In merito a quest’ultimo, il ministro Lollobrigida ha collezionato proprio in questi giorni un’ennesima figuraccia galattica. Negli stessi minuti in cui sbandierava sul quotidiano “La Stampa” una fantomatica “corsa agli approvvigionamenti di vino italiano negli Stati Uniti dopo l’annuncio dei dazi di Trump”, il Sole 24 Ore lo sbugiardava su tutta la linea con i fatti reali, raccontando della preoccupante lettera inviata dai presidenti dei principali consorzi di tutela, Giancarlo Guidolin (Prosecco Doc), Franco Adami (Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg) e Michele Noal (Asolo Prosecco Docg), al Ministero dell’Agricoltura per denunciare il blocco improvviso e totale degli ordini dagli USA su tutti i loro prodotti, circa 135 milioni di bottiglie. Lettera che segue altre richieste giunte al Masaf da consorzi come il Chianti Docg e il Nobile di Montepulciano dettate dalla paura di un cortocircuito totale del comparto dinanzi alla minaccia di dazi che potrebbero arrivare addirittura al 200%. “Il venir meno di un mercato simile comporterebbe la necessità di individuare Paesi alternativi dove collocare queste produzioni e, nell’emergenza, questo comporterebbe di sicuro una pesante contrazione del valore, con ripercussioni economiche e sociali per le nostre aziende” sottolineano i Consorzi. Da qui la richiesta di un intervento urgente del governo italiano e dell’Unione Europea per scongiurare una crisi che potrebbe affondare irreparabilmente un settore chiave del made in Italy.
L’altro grande comparto a rischio, come suddetto, è quello delle macchine. “Faremo pagare i Paesi per aver fatto affari nel nostro Paese e per aver preso i nostri posti di lavoro, per aver preso la nostra ricchezza, per aver preso un sacco di cose che hanno preso nel corso degli anni”, ha detto Trump annunciando le nuove tariffe al 25% , una stangata senza precedenti per il campo automobilistico europeo, in special modo per Germania e Italia, che sarà applicata non solo alle auto completamente assemblate, ma anche alle parti fondamentali del veicolo, tra cui motori, trasmissioni, parti del gruppo propulsore e componenti elettrici. I dazi del 25 per cento, che si sommano a quelli già esistenti del 2,5, faranno aumentare il costo delle auto europee sul mercato statunitense, rendendole meno competitive e provocando una contrazione delle esportazioni senza precedenti, con stime che si aggirano intorno al 7,1% per i tedeschi e al 6,6% per gli italiani, ma mentre la premier e gli esponenti di spicco del nostro governo continuano a fare i vassalli americani, tifando incredibilmente contro i nostri stessi interessi, il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck, da vero patriota, ha chiesto all’Ue una “reazione ferma” concludendo con una promessa chiara e inequivocabile: “Deve essere chiaro che non ci arrenderemo mai agli Stati Uniti”.