De Clizibus

L’Italia di Meloni prima in classifica nella ricerca di video porno con transessuali

Cari lettori, Pornhub non mente! Sì sì, avete capito bene, sto parlando proprio del sito a luci rosse più famoso del mondo che il 31 marzo scorso, in occasione della “Giornata Internazionale della Visibilità Transgender”, ha diffuso un nuovo rapporto a livello mondiale in merito alle preferenze di visione relative ai contenuti sul “terzo sesso”. Da questa classifica è emersa ancora una volta tutta l’ipocrisia del nostro bel Paese che, per l’ennesimo anno consecutivo, è risultato primo al mondo per visualizzazioni di filmati porno della categoria “trans”, addirittura più del doppio rispetto alla media globale con un +103%, superando ampiamente Brasile (+59%) e Colombia (+48%), rispettivamente al secondo e terzo posto!

Questa è l’Italia “tradizionale” di Meloni, un Paese in cui solo lo scorso anno sono state denunciate 3600 aggressioni fisiche e verbali di natura omotransfobica secondo i dati di Gay Center (senza contare tutte quelle non dichiarate per paura o vergogna), numeri che ormai da tempo ci hanno fatto guadagnare il podio europeo.

La verità è che viviamo da sempre intrappolati nelle nostre stesse contraddizioni, in quelle di una società profondamente patriarcale, dove l’identità maschile viene costruita a colpi di machismo tossico, dove l’italiano medio deve mostrarsi forte, dominante, ostentare eterosessualità e disprezzo sistematico per tutto ciò che sfugge alle regole del binarismo e della “normalità” imposta per non essere a sua volta discriminato. Quante volte vi è capitato di sentire uomini giustificare a se stessi e agli altri l’attrazione verso noi ragazze transessuali? Quante innumerevoli volte avete sentito dai vostri amici scuse ridicole del tipo “non me ne ero accorto”, “sembrava una donna vera” o addirittura “avevo bevuto e non ero lucido” al fine di tutelare quella granitica virilità tossica che ci è stata inculcata fin da quando siamo piccoli?
E così, di giorno, al sicuro della rassicurante “famiglia tradizionale”, si condannano, si deridono, si emarginano quelle realtà che potrebbero ledere l’integrità di maschi alfa integerrimi, di coloro che “non andrebbero mai con una trans perché è una cosa da gay”, come se il desiderio dovesse essere incasellato, giudicato, patologizzato per auto convincersi della solidità delle proprie pulsioni, come se fossero le esperienze sessuali a determinare la virilità di un vero Uomo e non il coraggio di rivendicare le proprie scelte!

Questa è la doppia faccia di una Nazione che non ha mai imparato a fare i conti con la propria sessualità, abituata a reprimere il desiderio feticizzandolo morbosamente per poi consumarlo in silenzio, di notte, col favore delle tenebre e dell’anonimato, spesso all’oscuro di mogli e fidanzate, con la stessa vergogna con cui di giorno lo nega. Una società alla “Dio, patria e famiglia” frustrata che moralizza, giudica, punisce perché ha bisogno di etichette chiare per potersi sentire al sicuro dai propri autoinganni.

Fino a quando continueremo a vivere schiavi di questo paradossale cortocircuito, ogni discorso sui diritti, sulla libertà, sulla dignità delle persone sarà solo fumo negli occhi, perché non si può costruire una società giusta quando il desiderio viene trattato come un peccato e l’identità come una colpa. L’Italia deve decidere da che parte stare: se continuare a essere il Paese ipocrita che si eccita in segreto e discrimina in pubblico, oppure diventare finalmente un luogo civile dove l’essere e il desiderare non siano più un atto di vergogna, ma di semplice, comune verità.

“Questo standard è un riflesso della nostra società – scrive il Movimento Identità Trans – che feticizza i nostri corpi rendendoci delle categorie per appagare i vostri appetiti sessuali e fallisce nel riconoscere e rispettare i diritti umani delle persone trans“.