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L’inquinamento dlle città fa male anche al cervello umano e agevola demenze e problemi cognitivi

L’inquinamento atmosferico fa male anche alla salute del nostro cervello: che cosa sappiamo.Le polveri sottili sono un importante fattore di rischio per demenze e disturbi neurologici con un effetto dose-dipendente amplificato dalle condizioni di salute della persona.È ormai ampiamente dimostrato che l’inquinamento atmosferico, sotto forma di particolato, ozono o altri gas tossici contribuisce all’insorgere di asma, tumore ai polmoni e altre malattie dell’apparato respiratorio e di quello cardiovascolare.

Ma non è soltanto questione di cuore e polmoni. Negli ultimi anni la scienza ha cominciato a collegare l’inquinamento atmosferico a danni cerebrali. È stato osservato che livelli più elevati di inquinamento dell’aria sono correlati a maggiori rischi di demenza, a tassi più elevati di depressione, ansia e psicosi. Sono emersi anche collegamenti con disturbi del neurosviluppo come autismo e deficit cognitivi. Si tratta di scoperte allarmanti dal momento che, secondo una stima dell’Organizzazione mondiale della Sanità, il 99 per cento della popolazione mondiale è esposta a livelli di inquinamento malsani. «Non dobbiamo pensare soltanto allo scarico di automobili e camion, fabbriche, incendi» sottolinea Giorgio Buonanno, professore ordinario di fisica tecnica ambientale all’Università degli Studi di Cassino. «Ogni sorgente di combustione sprigiona PM 2,5 compresi camini, stufe a pallet, cucine a gas».

A causa dell’invecchiamento della popolazione il numero di persone affette da demenza passerà dai 50 milioni del 2020 a 150 milioni nel 2050. C’entra anche l’inquinamento? «L’effetto è dose-dipendente, probabilmente amplificato dalle condizioni di salute del paziente che, in situazioni di inquinamento, tende a sua volta ad essere meno sano» riflette il professor Alessandro Padovani, presidente della Società italiana di Neurologia.

Gli studi
Nel 2020 l’influente The Lancet Commission sulla demenza ha riconosciuto che l’inquinamento atmosferico, da solo, aumenta del 2 per cento il rischio di Alzheimer. Tenendo tuttavia conto degli impatti su disturbi del sonno, respiratori e cardiaci, gli effetti complessivi sarebbero più elevati.
Un’importante meta-analisi pubblicata nel 2023 sul British Medical Journal ha trovato una connessione tra l’inalazione di polveri sottili inquinanti e demenza: è stato osservato che respirare particelle microscopiche con una larghezza inferiore a 2,5 micron, può essere collegato a demenza, anche con basse esposizioni. Dati epidemiologici confermano le scoperte. Uno studio californiano su oltre 18 mila persone pubblicato su Jama Neurology nel 2021 ha evidenziato che i residenti nelle aree più inquinate avevano il 10 per cento di probabilità di avere placche di amiloide nel cervello, segno biologico della malattia di Alzheimer, rispetto a chi viveva in zone meno inquinate.

La buona notizia è che studi condotti in Francia, Stati Uniti e Cina mostrano che il miglioramento della qualità dell’aria si associa a una riduzione dei casi di declino cognitivo, demenza e depressione.

Nonostante le prove che collegano l’inquinamento atmosferico ai danni al cervello, è difficile individuare una causa chiara solo con studi osservazionali: non si possono isolare le sostanze chimiche responsabili per ottenere una comprensione meccanicistica. La molteplicità delle miscele inquinanti e gli elevati costi delle attrezzature per replicare le esposizioni umane in laboratorio rendono difficile la ricerca.

Le ipotesi
Gli scienziati ipotizzano tuttavia che il PM 2,5 possa viaggiare direttamente dai polmoni al cervello, irritando i vasi sanguigni cerebrali condizione che, nel tempo, può causare demenza vascolare. Non sappiamo ancora se effettivamente possa arrivare al cervello una quantità sufficiente di particelle da favorire la demenza: solo una piccola quantità di PM 2,5 (e in misura maggiore di particolato ultrafine), può infatti superare la barriera ematoencefalica che, tra l’altro, con l’età tende a perdere parte della sua funzionalità.

In questo meccanismo di degenerazione sembra avere un ruolo anche il sistema glinfatico, lo «spazzino» del cervello che rimuove, in particolare durante il sonno, i prodotti di scarto e i detriti, tra cui la proteina beta-amiloide. «Parte delle sostanze inquinanti — spiega Alessandro Padovani, che è anche direttore della Clinica neurologica agli Spedali Civili di Brescia — penetrerebbe all’interno del tessuto nervoso proprio attraverso il sistema glinfatico, determinando una reazione infiammatoria che riduce la capacità del sistema di eliminare tossine e proteine di degradazione. Secondo dati sperimentali, l’amiloide, in presenza di metalli pesanti, in particolare rame, zinco e ferro, accrescerebbe la sua capacità aggregativa con un aumento della produzione di placche senili». (Fonte Corriere della Sera)