Cronaca

Licenziato per aver scritto su WhatsApp frasi contro l’azienda, la storia di Marco di Torino che dopo 16 anni si è ritrovato senza lavoro

Il Tribunale di Torino

Perde il lavoro per il suo stato WhatsApp, la storia di Marco e di una recente sentenza della Cassazione che ridà speranza a lui e a tutti i casi simili. “Mi hanno minacciato di morte, di aspettarmi fuori e di riempirmi di botte”. È così che Marco, cinquantenne ed ex dipendente della di una cooperativa di servizi a Torino, inizia il suo racconto. Mentre parla e racconta ciò che gli è accaduto è affranto e molto preoccupato per il suo futuro prossimo. “E’ dal 2009 che lavoro per questa cooperativa e in 16 anni di servizio non ho mai causato problemi. Anzi, ho speso tempo, dedizione, passione ed energie, e tutte le mie forze, perché ho creduto nella visione di una grande realtà come la cooperativa”. La cooperativa era inizialmente un punto di incontro per reinserire nella società ex tossicodipendenti, ma con il tempo ha assunto sempre più una struttura improntata al business, come sottolinea lo stesso Marco.“All’inizio la cooperativa era veramente utile: vedevi persone reintegrarsi grazie al lavoro. Ma nel tempo i soldi hanno cambiato la visione. Infatti, i miei problemi sono iniziati quando hanno perso un grosso appalto”. Marco ontinua con voce tremolante e al limite della commozione: “Io, nel 2023, ho avviato un’avvertenza sindacale per ottenere il contratto di igiene ambientale, per una retribuzione parificata. Da lì, l’azienda ha iniziato a colpirci con diverse contestazioni”. Marco, insieme al sindacato Usb (unione sindacale di base), dà il via a una vera e propria battaglia che, secondo un consigliere della cooperativa, avrebbe portato alla perdita di un importante appalto. Condivide tutto ciò in un gruppo WhatsApp, da cui nasce un vero e proprio clima di odio verso Marco e i suoi colleghi. Marco racconta come un suo collega avrebbe condiviso una loro foto, accompagnata da una frase molto forte, rivolta alle situazioni di minacce che avevano ricevuto alcuni di loro, e non all’azienda. “Il mio stato WhatsApp è visibile solo a una ventina di persone. Probabilmente qualche collega ha fatto uno screenshot e lo ha condiviso in altre chat e poi è arrivato anche ai vertici della cooperativa, che ha ben pensato di licenziarmi”. Questa almeno la sua versione dei fatti. Marco, dopo 16 anni di lavoro, ora si ritrova a casa senza stipendio. Ha impugnato il licenziamento in Tribunale e spera di essere reintegrato, confidando che la giustizia faccia il suo corso. La parola passa dunque ai giudici di Torino che dovranno fare piena luce e chiarezza sulla vicenda.

Ma cosa dice la Cassazione su un licenziamento legato a WhatsApp? Nel 2018, davanti al Tribunale di Firenze, compare un caso simile alla storia di Marco. Un dipendente, con un ruolo dirigenziale, aveva creato un gruppo WhatsApp con 13 membri, all’interno del quale offendeva esplicitamente alcuni superiori. Uno dei membri aveva condiviso le chat con il responsabile del personale, che aveva poi deciso di licenziare il dirigente. Tuttavia, secondo la Cassazione, quel licenziamento sarebbe nullo, in quanto le conversazioni su WhatsApp sono protette dal diritto alla segretezza. La divulgazione di quelle chat, quindi, non può essere considerata lecita, soprattutto come motivazione per un licenziamento. Il dirigente fiorentino venne risarcito con 12 mensilità e reintegrato nel posto di lavoro. Ed è proprio questo che spera anche Marco: “Io chiedo giustizia, perché non ho agito in modo sbagliato. Anzi, vorrei essere riammesso nel mio lavoro, che da 16 anni svolgo in maniera impeccabile”. Si vedrà.

(CronacheTorino.it)