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La storia delle due isole nello stretto d Bering dove è possibile “viaggiare nel tempo”, soltanto 4 km di distanza ma ben 21 ore di fuso orario differente

La storia delle isole con due fusi orari che dividono il mondo a metà: la Cortina di ghiaccio, le famiglie «dilaniate» e il ponte per viaggiare nel tempo. Le isole di Diomede, nello Stretto di Bering, sono separate dalla Linea internazionale del cambio di data: distanti appena 3,8 chilometri, sono separate da 21 ore di fuso orario.Esiste un luogo dove ieri e domani si sovrappongono, dove basta percorrere 3,8 chilometri per viaggiare dal presente al futuro, e dal futuro di nuovo al passato. Sono le isole di Diomede, due puntini sulla mappa a nord dello Stretto di Bering, il gelido braccio di mare che separa Siberia e Alaska, Russia e Stati Uniti, Asia e America. Big Diomede, la più grande, fa parte continente asiatico, Little Diomede di quello americano.

Le due isole sono separate dal 1867, da quando cioè gli Stati Uniti comprarono l’Alaska dall’Impero russo al modico prezzo di 7,2 milioni di dollari dell’epoca. Al confine geografico si aggiunse nel 1884 quello temporale, con il tracciamento della Linea internazionale del cambio di data: una riga che divide arbitrariamente Est e Ovest del mondo, passando esattamente in mezzo alle due isole. La Linea è il punto del mondo è in cui ogni nuovo giorno inizia e poi, 24 ore dopo, finisce.

A partire da quel momento Big Diomede e Little Diomede sono separate da 21 ore di fuso orario. Quando sulla sorella minore comincia una nuova giornata, sulla maggiore quello stesso giorno è finito da un pezzo: da qui i soprannomi di «isola di domani» e «isola di ieri». Del ponte che dovrebbe collegarle, e consentire così in un certo senso di viaggiare nel tempo, si parla dalla metà dell’Ottocento, ma ostacoli tecnici e geopolitici hanno sin qui impedito l’impresa.

Le linee immaginarie che l’uomo ha tracciato col righello fra le Diomede ignorando storia e geografia non rappresentano, però, soltanto lo spunto per riflessioni filosofiche sul significato del tempo, simili a quelle che Umberto Eco affrontò nel suo romanzo L’isola del giorno prima. Le stesse linee, in particolare dopo lo scoppio della Guerra Fredda, hanno diviso tribù che per secoli erano state unite, dilaniato famiglie e amicizie, distrutto tradizioni millenarie.

Come ha spiegato alla Bbc Frances Ozenna, capotribù eschimese di Little Diomede, indicando la Siberia in lontananza: «Le vecchie generazioni si stanno estinguendo e il fatto è che non sappiamo nulla l’uno dell’altro. Stiamo perdendo la nostra lingua. Noi parliamo inglese e loro parlano russo. Non è colpa nostra. Non è colpa loro. Ma è semplicemente terribile».

La storia dolorosa delle isole Diomede, che per noi comincia con il loro primo avvisamento nel 1648, è uno specchio rotto dentro cui guardare la storia del mondo negli ultimi 400 anni. Fra guerre e accordi di pace, fughe in avanti e ritorni all’indietro, conquiste, spartizioni e tentativi di riunire ciò che era sempre stato unito. Nel Seicento, come oggi.La scoperta delle Diomede
Nel 1581, con la conquista del Khanato di Sibir, la Russia si aprì la strada verso la Siberia e il Pacifico, avviando quella fase espansionistica che le avrebbe permesso di aumentare notevolmente i suoi territori. Le conquiste le permisero inoltre di ampliare i commerci, in particolare quello delle pellicce, e di diffondere la fede ortodossa.

Le Isole Diomede furono avvistate per la prima volta dall’esploratore russo Semyon Dezhnev, che nel 1648 riferì di due isole abitate da nativi che si «decoravano» le labbra con ossa animali (Little Diomede è abitata da oltre tre mila anni dagli eschimesi Inupiat, specializzati nell’intaglio dell’avorio).

Furono poi ri-scoperte durante la spedizione guidata da Vitus Bering, esploratore e cartografo russo nato in Danimarca, lo stesso che avrebbe dato il nome allo Stretto. Era il 16 agosto 1728 e le due isole vennero battezzate Diomede in onore del santo che la chiesa ortodossa celebrava quel giorno (Big Diomede è conosciuta anche con i nomi eschimesi Imaqliq e Nunarbuk e con il nome russo Ratmanov; Little Diomede si chiama anche Inaliq, Ignaluk e Krusenstern).

I russi alla conquista dell’America
Tredici anni dopo, nel 1741, lo stesso Bering avvistò il monte Saint Elias: cominciò così la conquista dell’Alaska da parte dei russi. Il nuovo territorio forniva animali da pelliccia – principalmente lontre e foche – in quantità, e così nel 1784 le compagnie commerciali Selikov e Golicov stabilirono la loro base a Kodiak. Nel 1899, poi, fu fondata la Compagnia russo-americana che aveva l’autorizzazione dello zar Paolo I a commerciare fino al 52esimo parallelo nord.

L’Alaska, però, rimaneva emarginata dalla vita dell’Impero: le comunicazioni con la capitale San Pietroburgo erano difficoltose, e molti preferivano trasferirsi per un periodo e poi, fatti un po’ di soldi, tornare a casa. Di fatto la popolazione russa non superò mai gli 800 abitanti e gli esploratori cominciarono a guardare verso sud, alla ricerca di un clima più favorevole. Arrivarono fino alla California, dove a inizio Ottocento stabilirono un insediamento a Fort Ross.

A metà del XIX secolo, a cent’anni dalla conquista, l’Alaska era ormai diventata un peso per l’Impero russo. Gli animali da pelliccia erano sempre meno e le relazioni con i nativi, pur se sconfitti militarmente o convertiti dai missionari ortodossi, mai semplici. Fu così che maturò la decisione di vendere i possedimenti in territorio americano agli Stati Uniti.Gli americani si comprano l’Alaska
Pellicce, pesca, perché no anche l’oro: nell’immaginario di molti americani l’Alaska rappresentava una terra delle opportunità. I colloqui con l’Impero russo cominciarono sotto la presidenza di Andrew Johnson, il successore di Abraham Lincoln, e furono condotti dal Segretario di Stato William H. Seward.

Il 30 marzo 1867 fu firmato a Sitka l’Alaska Purchase, il contratto che stabiliva l’acquisto dei territori dalla Russia per 7,2 milioni di dollari (poco più di 4 dollari per chilometro quadrato). Il passaggio di sovranità avvenne l’8 ottobre dello stesso anno. Le due date sono rimaste un punto fermo nel calendario: il 30 marzo è il Seward’s Day, l’8 ottobre l’Alaska Day.

All’epoca l’operazione fu accolta con scetticismo dalla gran parte dell’opinione pubblica americana. Si cominciò a parlare dell’acquisto come della «follia di Seward», e dell’Alaska come del «giardino degli orsi polari di Johnson».

Il clima mutò radicalmente tre decenni dopo, quando nella zona di Nome vennero scoperti i giacimenti d’oro. L’Alaska fu invasa dai cercatori e la colonizzazione venne di conseguenza. Quando poi fu trovato altro oro nel vicino Klondike, in territorio canadese, molti cercatori cominciarono a spostarsi da una parte all’altra, il che favorì la crescita dei primi insediamenti e la costruzione delle strade.

L’«isola di ieri» e l’«isola di domani»
L’Alaska Purchase firmato nel 1867 utilizzava le Isole Diomede per designare il confine fra Russia e Stati Uniti, e quindi anche fra Asia e America. La linea, si legge nel trattato, doveva separare «equidistantemente l’isola Krusenstern, o Ignaluk, dall’isola Ratmanov, o Nunarbuk», e si dirigeva «verso nord all’infinito fino a scomparire completamente nell’Oceano Artico».

Al primo confine, quello geografico, si aggiunse dopo la Convenzione internazionale di Washington del 1884 il confine temporale, con il tracciamento della Linea internazionale del cambio di data che divise Est e Ovest del mondo. La linea segue per la maggior parte il 180esimo meridiano, con tre deviazioni, e nello Stretto di Bering è più spostata a est di rispetto a qualsiasi altro luogo del pianeta.

Dal 1884 Big e Little Diomede, divise della Linea internazionale del cambio di data, sono separate da 21 ore di fuso orario. Nel 2000 il Corriere della Sera pubblicò il reportage del giornalista Jacek Palkiewicz, che aveva raggiunto il punto più orientale della Siberia per salutare per primo il nuovo millennio insieme «ai 28 militari russi abbandonati sull’isola di Grande Diomede». A Piccola Diomede, distante appena 3,8 chilometri, i Duemila sarebbero arrivati con quasi un giorno di ritardo. L’incubo della guerra artica
Da sempre periferia, le Isole Diomede si ritrovarono al centro dello scacchiere mondiale nel secondo Dopoguerra. Fra i ghiacci dello Stretto di Bering la Guerra Fredda fra le due grandi superpotenze nemiche, Stati Uniti e Unione Sovietica, poteva improvvisamente diventare calda. Sarebbe stato sufficiente un colpo di cannone sparato da Big Diomede a Little Diomede, o viceversa, per far esplodere il conflitto.

Il problema era già evidente nel 1940, a Guerra Mondiale ancora in corso. Il Corriere del 15 novembre dava conto dell’«allarmante notizia pubblicata dalla stampa americana secondo cui la Russia si accingeva a creare misteriosamente una base navale e aerea a Grande Diomede, nello Stretto di Bering». Si scoprì poi che la costruzione era soltanto una baracca di legno adibita a scuola.

Otto anni dopo i sovietici costruirono davvero una base militare su Big Diomede, ricollocando gli abitanti sulla penisola siberiana della Chukotka. Il Corriere d’Informazione dell’8-9 giugno 1948 titolava così un lungo articolo sul pericolo concreto di una «guerra artica»: «Dove i due colossi sono a tiro di cannone».

Ecco il testo: «L’Alaska è il tallone d’Achille della terraferma americana (…). Le truppe russe sull’isola maggiore delle Diomede, a metà strada tra la Siberia e l’Alaska, sono a tiro di cannone dai posti americani sulla piccola Diomede (…). Partendo dall’Alaska un aggressore potrebbe coprire di bombe i centri industriali di tutta l’America del Nord. (…) Il comandante Twinning ha recentemente dichiarato che le forze messe a sua disposizione sono insufficienti, e che un solo battaglione russo bene armato potrebbe impadronirsi dell’intera Alaska».

Dello stesso tenore il reportage realizzato nel 1950 da Cesco Tomaselli, intitolato «Qualche miglio più in là ci prenderebbero a cannonate». Dopo aver sorvolato lo Stretto di Bering a bordo di un aereo, l’inviato del Corriere scrisse: «Ho visto con i miei occhi lo Stretto con le famose isole Diomede popolate da eschimesi della stessa tribù, i quali non possono più scambiarsi nemmeno una visita di condoglianza perché l’Unione Sovietica ha istituito anche qui la legge del mitra».La Cortina di ghiaccio e la traversata di Lynne Cox
Lo stretto braccio di mare tra Big e Little Diomede fu ribattezzato «Cortina di ghiaccio». Guido Olimpio ha raccontato, sempre sulle pagine del Corriere della Sera, le storie di chi quel muro invisibile lo attraversava, indifferente ai pericoli. Tra loro c’erano eschimesi cacciatori di foche, ma anche missionari cristiani come il gesuita Tom Cunningham («padre Tom dell’Artico») che con la sua barca faceva avanti e indietro dalla costa dell’Alaska a quella siberiana.

Ci fu anche qualcuno che superò la frontiera senza fare ritorno: è il caso del meccanico Valeri Tihonovic che, stufo di vivere in Urss, nel 1945 si costruì un piccolo kayak dotato di motore e attraversò lo Stretto di Bering insieme al figlio per sbarcare negli Stati Uniti.

Per decenni la «guerra artica» fu combattuta attraverso manovre aeree o subacquee. I ricognitori della Us Air Force, ha scritto ancora Olimpio, si spingevano fino al confine per cercare di captare segnali e spiare quello che avveniva oltre la Cortina. I Tupolev russi volavano sullo Stretto rischiando incontri ravvicinati ad alta quota con i caccia F 102. Si arrivò vicinissimo all’incidente nel 1955, quando un P2V statunitense fu mitragliato dai caccia di Mosca e quattro avieri rimasero feriti.

La Cortina di ghiaccio si sciolse nel 1987, con due anni di anticipo rispetto alla caduta del Muro di Berlino. Il 7 agosto di quell’anno la statunitense Lynne Cox s’imbarcò – anzi, è il caso di dire, si tuffò – in un’impresa senza precedenti: attraversare la frontiera percorrendo a nuoto i 3,8 chilometri che separano le Isole Diomede. Una nuotata benedetta dai due presidenti, Reagan e Gorbaciov, che Cox completò in due ore e sei minuti.Le famiglie dilaniate dalla Guerra Fredda
L’effetto collaterale della Guerra Fredda fu quello di separare brutalmente tribù e famiglie che per secoli avevano vissuto gomito a gomito, muovendosi liberamente fra le due isole. Prima della Cortina di ghiaccio spostarsi tra le Diomede, in barca o a piedi nei mesi freddi, per gli indigeni era una consuetudine. Poi diventò impossibile e anche inutile, visto che gli abitanti di Big Diomede erano stati deportati sulla terraferma.

Qualche anno fa la Bbc ha raccontato la storia delle famiglie separate dal confine. Il capotribù Robert Soolook ricostruì il suo viaggio nella Chukotka siberiana: «Con gli sci e la slitta trainata dai cani abbiamo percorso 20-25 miglia al giorno e siamo andati in 16 villaggi. Ho trovato i parenti di mia madre in tre villaggi e la sua cugina preferita, Luda, era a Uelen. È stato molto speciale. Ero di nuovo in famiglia».

«Siamo qui da migliaia di anni, prima che arrivassero gli inglesi, gli americani, i russi, prima che governi e regolamenti ci separassero dalle nostre famiglie» ha concluso Soolook: «Questo confine ci spezza il cuore».

Il revanscismo russo e il tweet di Medvedev
Il disgelo, negli anni Novanta, consentì ad amici e parenti di rivedersi dopo decenni. Con il crollo dell’Unione Sovietica i governi russo e statunitense organizzarono un gemellaggio tra parchi nazionali in Chutotka e Alaska e avviarono intese su pesca, porti e ambiente. Furono inoltre finanziati programmi transnazionali per monitorare i cambiamenti climatici e la migrazione di balene, trichechi e orsi bianchi.

Tutto è bene quel che finisce bene? Non proprio. Negli ultimi anni diversi commentatori russi hanno sostenuto che l’Alaska dovrebbe essere restituita alla Russia. Nel gennaio del 2024, poi, Vladimir Putin ha firmato un decreto con cui ha stanziato dei fondi per la ricerca e la registrazione delle proprietà russe all’estero, compresi gli ex territori dell’impero.

A soffiare sul fuoco delle pretese russe sull’Alaska ha contribuito, nello stesso periodo, un tweet dall’ex Presidente Dmitrij Medvedev: «Secondo un rappresentante del Dipartimento di Stato, la Russia non riavrà l’Alaska, venduta agli Stati Uniti nel XIX secolo. È questo, dunque. E stiamo aspettando che venga restituita da un giorno all’altro. Ora la guerra è inevitabile». Se non avesse concluso il post con una faccina sorridente, ci sarebbe stato da preoccuparsi.

Il ponte per viaggiare nel tempo
Quello di un ponte che attraversa lo Stretto di Bering, passando per le Isole Diomede, è un sogno antico. Antico e ambizioso, perché consentirebbe a un ipotetico viaggiatore di spostarsi via terra dall’Africa all’America, passando da Europa e Asia. Non solo: quello stesso viaggiatore potrebbe partire dalla costa siberiana di sera e arrivare in Alaska la mattina precedente, tornando indietro nel tempo di una ventina di ore.

Oltre al fascino, il ponte sullo Stretto di Bering porterebbe indiscutibili vantaggi economici, perché permetterebbe di trasportare più velocemente le merci da un continente all’altro e consentirebbe la costruzione in parallelo di un oleodotto e di un gasdotto.

Il primo progetto risale al 1849 e si deve all’immaginazione del governatore del Territorio del Colorado William Gilpin. Nel 1905, mezzo secolo dopo, il presidente della Pacific Union Trail E.H. Harriman ipotizzò un collegamento ferroviario dagli Stati Uniti all’Alaska, alla Siberia. La ferrovia, che collegata alla Transiberiana avrebbe permesso di viaggiare da Mosca a New York in treno, fu accantonata per l’opposizione del Giappone.Temperature fino a -60 gradi
Il ponte tornò in agenda durante la Seconda Guerra Mondiale, quando fu completata l’autostrada che collegava l’Alaska al Canada e agli Stati Uniti continentali. Il progetto più completo è datato 1958 e porta la firma dell’ingegnere statunitense Tung-Yen Lin: prevedeva un ponte lungo 97 chilometri e diviso in tre sezioni. Avrebbe collegato Nome, negli Stati Uniti, e Uèlen, in Russia, in meno di un’ora.

A cinquant’anni di distanza, nell’aprile 2007, la Russia presentò il progetto di un tunnel lungo 110 chilometri (il doppio di quello della Manica) sotto lo Stretto di Bering. L’opera avrebbe richiesto 15-20 anni di lavori e un investimento iniziale di 60 miliardi di dollari, per produrre – secondo il governo russo – sette miliardi di ricavi ogni anno. Contestualmente sarebbero stati realizzati 6.000 chilometri di linea ferroviaria per collegare il ponte alla Transiberiana e all’Alaska Railroad.

Fantasioso, infine, il progetto presentato nel 2012 dallo studio parigino OFF Architecture: un ponte fra Piccola e Grande Diomede formato da 450 cubi galleggianti, con una passerella pedonale, tubi in plexiglas per consentire il passaggio della fauna marina, appartamenti e spazi ricreativi costruiti nelle pareti rocciose delle isole.

Se il collegamento fra i due continenti vedrà mai la luce, i progettisti dovranno affrontare sfide ingegneristiche non da poco. Si tratterebbe del ponte (o del tunnel sottomarino) più lungo mai costruito, in un’area interessata da forti venti che raggiunge durante l’inverno temperature fino a –60 gradi centigradi. Per otto mesi all’anno, inoltre, gli iceberg pesanti varie tonnellate che si spostano verso sud potrebbero urtare e danneggiare le strutture.

Cosa c’è a Big Diomede, oggi
Nel 2000 il giornalista Jacek Palkiewicz descriveva Big Diomede così: «Un luogo selvaggio con scogliere a picco inaccessibili dal mare e collinette tondeggianti, con chiazze di neve che non si scioglie neppure durante la breve estate. L’isola di roccia vulcanica, coperta da un leggero manto di licheni ed erbe, è lunga otto chilometri e larga quattro».

Per quanto riguarda la base russa, scriveva Palkiewicz, «la piccola guarnigione militare è circondata da un indescrivibile caos: costruzioni fatiscenti, finestre senza vetri, montagne di immondizia, ferro vecchio, bidoni di gasolio vuoti, una casa distrutta da un incendio. (…) I 28 soldati vivono completamente isolati dal mondo in condizioni pietose: soffrono la fame, il freddo, l’inesistenza sanitaria e la mancanza di contatti con l’esterno. Il servizio di leva dura due anni e non si possono prendere licenze. Gli elicotteri militari arrivano un paio di volte l’anno per portare i viveri. La dieta è a base di patate disidratate, zuppa d’orzo, pesce secco e scatolame».

Nell’ultimo quarto di secolo la situazione a Big Diomede non è cambiata poi molto. L’isola oggi ospita una stazione meteorologica e una base della Guardia di frontiera russa.Orsi polari e fucili
Sulla piccola Little Diomede, sette chilometri quadrati di terra e roccia, ci sono una trentina di edifici: una scuola costruita nel 1920 che garantisce l’istruzione dalla materna alle superiori, una biblioteca, una chiesa, un eliporto, un negozio che vende alimentari, vestiti, armi e carburanti. Non ci sono invece strade e nemmeno ristoranti o hotel.

La popolazione è calata dai 178 abitanti del 1990 ai 77 attuali. E del resto le temperature non invitano a trasferirsi qui: il mare è ghiacciato da dicembre a giugno, le minime sono ampiamente inferiori allo zero e le massime raramente arrivano a 10 gradi.

La popolazione comprende indigeni eschimesi, abilissimi nel cacciare foche e lavorare l’avorio, e una manciata di immigrati dagli Stati Uniti. Nel 2014 La Stampa intervistò Jordana Grant, allora 24enne del Montana trapiantata a Little Diomede per insegnare ai circa 20 bambini e ragazzi della scuola locale: «La terraferma dista circa 40 chilometri e l’unico collegamento possibile è con l’elicottero, che vola un paio di volte alla settimana quando non si rompe», raccontava l’insegnante.

Vivere qui significa fare i conti, oltre che con l’isolamento, con le conseguenze dei cambiamenti climatici. Nel novembre del 2023 gli uffici comunali sono collassati sulla scuola: «Il permafrost si sta degradando, per cui le fondamenta degli edifici stanno sprofondando e scivolando» ha spiegato un tecnico arrivato all’Alaska. Un altro problema è rappresentato dagli orsi polari: nei mesi freddi, approfittando del ghiaccio, si spostano alla ricerca di foche, ma sono sempre di più quelli che rimangono bloccati sull’isola a causa dello scioglimento anticipato dei ghiacci. Per questo motivo gli uomini hanno preso l’abitudine di alzarsi molto presto e fare la ronda armati di fucile.