Cronaca

La curano con Voltaren e Bentelan ma aveva un infarto e muore, ai 12 figli spettano 2 milioni di risarcimento

Malasanità, il risarcimento arriva ma dopo 24 anni dalla morte di una paziente di un ospedale calabrese. Il 9 dicembre del 2001 un 70enne si sente male, mentre è a casa sua a Reggio Calabria, e il marito richiede l’intervento del 118 che però comunica di non avere ambulanze disponibili in quel momento. La donna ha forti dolori al petto, sintomi decisamente preoccupanti, e quindi i familiari, senza indugi ulteriori la accompagnano al pronto soccorso dell’ospedale cittadino. Una storia già iniziata male, prosegue nel peggiore dei modi possibili. I medici, stando al resoconto processuale, sbagliano tutto quello che è possibile sbagliare, e la donna all’inizio viene curata con Voltaren e Bentelan, ma aveva un infarto in atto, e alle 2 di notte muore irrimediabilmente. Per i giudici del Tribunale di Reggio Calabria la donna se curata tempestivamente poteva essere salvata, e nei giorni scorsi, a 24 anni dal tragico evento, e dopo 10 anni di udienze, hanno condannato la compagnia assicurativa del nosocomio a pagare 2 milioni di euro di risarcimento ai 12 figli ed eredi. La somma dovrà essere pagata per danni non patrimoniali, tecnicamente per “danno da perdita parentale”. Nella sentenza, a firma del giudice Francesca Rosaria Plutino, è stata ricostruita l’intera vicenda e anche l’intera sequenza di eventi che ha portato alla morte della donna. Il giudice ha ascoltato decine di testimoni, acquisito la documentazione sanitaria e disposto anche ben due perizie medico-legale per far chiarezza sulle cause del decesso. Nei primi anni successivi alla tragica morte della donna, i parenti e i loro legali, prima di fare causa all’azienda ospedaliera reggina, hanno provato a trattare e a mediare con l’ospedale per giungere ad un accordo, e successivamente visto che tutte le trattative non erano andate a buon fine, e che si erano anche protratte eccessivamente nel tempo, nel 2015 avevano dato il via al contenzioso giudiziario terminato nei giorni scorsi. I 12 figli della donna, difesi e rappresentati dagli avvocati Stefano Carabetta e Santo Delfino, sono riusciti a dimostrare in aula la correlazione tra il comportamento negligente dei medici e la morte della 70enne. Per il Tribunale di Reggio Calabria che la donna fosse in preda ad un infarto acuto al momento dell’accesso al pronto soccorso, risulta chiaramente sia dalla positività degli enzimi cardiaci sia dal secondo e terzo elettrocardiogramma, per cui i medici hanno sbagliato la diagnosi e si sono resi conto troppo tardi del grave problema cardiaco in corso, intervenendo con “colposo ritardo”. Lapidarie le conclusioni della sentenza: “Di conseguenza, essendo questi i dati, deve ritenersi altamente probabile che, se la donna fosse stata tempestivamente trattata, si sarebbe potuta salvare”. Una frase che pesa come un macigno sull’intera faccenda. I 12 figli della donna, a 24 anni da quel giorno infausto, ora saranno risarciti.