Quando a gennaio 2024 iniziò il processo ad Alessandro Impagnatiello, l’ex barman che nel maggio 2023 uccise a Senago, nel Milanese, con 37 coltellate la fidanzata incinta di sette mesi, Giulia Tramontano, tentando di bruciare il corpo e facendolo ritrovare dopo quattro giorni, i familiari della 29enne scoprirono che l’auto dell’imputato non era stata sequestrata. E che, anzi, il 32enne era riuscito a venderla ad una sua parente. Come anticipato ieri 27 agosto dal Corriere della Sera, proprio per evitare che quella macchina, su cui il giovane, condannato all’ergastolo in primo e secondo grado, aveva nascosto il corpo di Giulia, tenuto pure in un box e poi gettato in un’intercapedine, continuasse “a circolare liberamente”, hanno deciso di intentare una causa. E ora il Tribunale civile di Milano ha condannato la cognata di Impagnatiello, ossia la moglie del fratello, a risarcire, con poco meno di 25mila euro, i familiari di Giulia. Alla parente dell’ex barman, infatti, un paio di mesi dopo il delitto, fu venduta e intestata l’auto del 32enne, nel tentativo, stando al verdetto civile, di farlo apparire un nullatenente ed evitargli così di pagare il risarcimento ai familiari della vittima.
“Alla famiglia ciò che interessava era che questa macchina non girasse più, dato che non era stata sequestrata dalla Procura per un errore”, ha chiarito l’avvocato Giovanni Cacciapuoti, legale dei genitori, della sorella e del fratello della 29enne. L’azione civile “per la revocatoria della vendita” – con prima udienza discussa lo scorso novembre, mentre si stava concludendo il processo penale di primo grado – venne portata avanti per impedire che la macchina “andasse in giro liberamente, anche perché la Procura all’epoca – ha precisato il legale – aveva disposto solo il sequestro del pianale posteriore, dove erano state trovate tracce di sangue”.
Di quell’auto, tra l’altro, ora non c’è più traccia perché, come risulta pure dagli atti della causa, la cognata e il fratello di Impagnatiello lo scorso ottobre hanno denunciato che sarebbe stata rubata, anche se poi la compagnia assicuratrice non ha risarcito il furto. I legali dei Tramontano, intanto, avevano saputo che, pochi giorni dopo l’arresto, Impagnatiello “aveva fatto entrare in carcere un notaio e attraverso di lui aveva conferito” a suo fratello Omar la “procura legale” per disporre dei suoi conti e beni. E così la macchina era stata venduta attraverso il fratello a sua moglie.
Il giudice Francesco Pipicelli, dichiarando con sentenza depositata nei giorni scorsi la nullità della compravendita, scrive che “è avvenuta tra parenti/affini, ben consapevoli tutti delle ragioni risarcitorie degli odierni istanti”, ossia dei familiari di Giulia, “e della diminuzione della garanzia generica a favore di questi per la riduzione (azzeramento) della consistenza patrimoniale del debitore”, ovvero Impagnatiello. In pratica, una mossa che, secondo il Tribunale, sarebbe servita per farlo risultare nullatenente, proprio nell’ottica dei risarcimenti da versare con la condanna per l’omicidio.
Sui social Chiara, sorella di Giulia, postando articoli relativi alla sentenza ha attaccato con parole dure Impagnatiello e i suoi familiari, facendo presente che lui ha persino chiesto di poter accedere alla giustizia riparativa. Istanza respinta dai giudici a luglio, perché non ha mostrato in alcun modo di aver raggiunto la “consapevolezza” del gesto compiuto.
La stessa Corte, tra l’altro, dovrà depositare le motivazioni della sentenza d’appello che, nonostante abbia confermata la pena massima, ha escluso l’aggravante della premeditazione, riconoscendo solo quelle del rapporto di convivenza e della crudeltà. “Vergogna, vergogna. La chiamano legge ma si legge disgusto”, aveva protestato Chiara Tramontano che ieri ha commentato sui social: “Feccia, famiglia di assassini”.
(Fonte Ansa)