In Italia lavoratori sempre più poveri, cala la disoccupazione ma il risultato non cambia
Più occupazione ma più povertà: cosa succede in Italia? (C’entrano lavoro dipendente e tasse). L’Italia è il Paese del G20 dove i salari hanno subito la più forte perdita di potere d’acquisto dal 2008 a oggi: -8,7%. In Francia, nello stesso periodo, c’è stato un aumento di circa il 5%, in Germania di quasi il 15%. I dati preoccupanti (eufemismo) del Rapporto Istat «Condizioni di vita e reddito delle famiglie. Anni 2023-2024», secondo il quale oltre 13 milioni e mezzo di residenti in Italia (il 23,1% del totale) nel 2024 erano a rischio di povertà o esclusione sociale (nelle famiglie con almeno un cittadino straniero la percentuale è del 37,5%, ma in discesa dal 40,1% dell’anno precedente, mentre aumenta leggermente per i componenti delle famiglie composte da soli italiani: 21,2% rispetto al 20,7% del 2023).
Il lavoro è ormai povero
«La risposta più semplice è che il lavoro stesso – quello dipendente – si è impoverito: in remunerazione ma anche in qualità per una buona parte degli italiani. Perché il sistema economico, soprattutto il comparto industriale che era il fiore all’occhiello e il motore primo del Paese, si è sfilacciato. Abbiamo perso molti grandi campioni, restiamo ancorati a un sistema di piccole aziende, flessibili sì ma non in grado di essere all’avanguardia nello sviluppo di nuove tecnologie e processi, scontiamo una scarsa produttività di sistema. I servizi non hanno supplito creando sufficiente valore, specializzazione e innovazione».
Elena Tebano ha ricordato, nella Rassegna di ieri, i dati preoccupanti (eufemismo) del Rapporto Istat «Condizioni di vita e reddito delle famiglie. Anni 2023-2024», secondo il quale oltre 13 milioni e mezzo di residenti in Italia (il 23,1% del totale) nel 2024 erano a rischio di povertà o esclusione sociale (nelle famiglie con almeno un cittadino straniero la percentuale è del 37,5%, ma in discesa dal 40,1% dell’anno precedente, mentre aumenta leggermente per i componenti delle famiglie composte da soli italiani: 21,2% rispetto al 20,7% del 2023).
Come siamo arrivati sin qui
Francesco Riccardi, in un editoriale su Avvenire, prova a capire «come siamo arrivati fin qui, perché progresso e sviluppo del Novecento si siano interrotti». E, soprattutto, come sia compatibile oggi tutto ciò con altri dati, quelli che testimoniano un tasso di occupazione mai così elevato, una disoccupazione ridotta ai minimi e un’inattività ancora assai consistente ma comunque in calo.
I salari hanno perso potere d’acquisto
In effetti, sempre di questi giorni è la notizia che, secondo l’annuale Rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) l’Italia è il Paese del G20 dove i salari hanno subito la più forte perdita di potere d’acquisto dal 2008 a oggi: -8,7%. In Francia, nello stesso periodo, c’è stato un aumento di circa il 5%, in Germania di quasi il 15%.
Colpa del fiscal drag
«Il rapporto non lo dice – ha scritto sul Corriere Enrico Marro – ma questo è accaduto anche per colpa del fiscal drag, un fenomeno di cui si parlava molto negli anni Settanta e Ottanta e che invece ora viene stranamente trascurato. Come dimostrato da diversi studi (Bruno Anastasia, Marco Leonardi e altri), nonostante i ripetuti tagli del cuneo dal 2020 in poi, le maggiori tasse pagate a causa dell’aumento del reddito nominale spinto dall’inflazione (i prezzi sono saliti di circa il 20% tra il 2019 e oggi) non sono state compensate, determinando un impoverimento del salario reale netto. Al quale ha contribuito anche una dinamica delle retribuzioni contrattuali che, come si legge nel rapporto dell’Oil, nonostante siano aumentate in media del 15% in termini nominali, hanno perso oltre 5 punti rispetto all’inflazione».
Nuovi attori economici
Riccardi conferma e allarga un po’ il quadro: «La globalizzazione ha fatto emergere nuovi attori economici agguerriti, mentre noi eravamo alle prese con due esigenze: rimettere in ordine i conti pubblici e moderare l’inflazione che rischiava di erodere tutto. La moderazione salariale ha svolto un ruolo fondamentale in questo a fine secolo scorso, ma la politica dei redditi difende i più poveri solo se si applica veramente a tutti i redditi e si riflette sui prezzi moderandone la crescita. E invece ha finito per offrire il terreno ideale su cui innestare tre trasformazioni negative: la finanziarizzazione dell’economia, un modello di produzione competitivo per bassi costi e non per qualità, la remunerazione del capitale assai più che del lavoro».
Ridefinire i contratti
C’è qualche modo per uscirne? Il suggerimento di Riccardi è «sedersi a un tavolo per vedere come estendere i contratti, ridefinirne materie e pesi nei nuovi scenari, come legare sempre più la partecipazione dei lavoratori ai risultati delle imprese. Occorre agire ancora sulla leva fiscale per alleggerirne il peso sul lavoro salariato e aumentarne quello sulle rendite, soprattutto far pagare il dovuto davvero a tutti. Per chi ha redditi minimi sentir parlare della rottamazione delle cartelle fiscali, di un ennesimo regalo agli evasori suona come uno scandalo».
(Fonte Corriere della Sera)