Esteri

I numeri della fame, a Gaza un residente su 3 non mangia nulla per più giorni consecutivi

Le cifre della crisi alimentare nella Striscia di Gaza: di qui a settembre, se la situazione non migliorerà, in 500 mila vivranno in condizioni di carestia. a Gaza, si continua a morire di malnutrizione: 85 bimbi, 127 persone in tutto portate via dalla fame. E nel tentativo di ricevere un poco di cibo: un migliaio gli uccisi vicino ai centri di distribuzione, dai quali la Gaza Humanitarian Foundation ha distribuito 94 milioni di pasti. Sembrano molti. Ne sarebbero serviti quattro volte tanto. E il rischio che la situazione di Gaza scivoli in una vera e propria carestia persiste.

I dati del World Food Programme (Wfp) parlano da soli: un terzo dei gazawi non mangia per più giorni consecutivi, mezzo milione vive già in condizioni paragonabili a quelle di una carestia. «La fame ha raggiunto numeri spaventosi», ha scritto venerdì l’agenzia in un comunicato.

Già a maggio, un rapporto elaborato dalla Fao lanciava l’allarme: secondo le previsioni, senza un sensibile miglioramento della situazione, entro il prossimo settembre 470 mila gazawi vivranno stabilmente in condizioni che secondo i criteri dell’Ipc — un sistema di classificazione della gravità delle emergenze legate alla disponibilità di cibo — rientrano nella categoria «5»: «Catastrofe», ovvero carestia. Vale a dire che il 20 per cento delle famiglie patisce «una estrema scarsità di cibo, che porta a malnutrizione e morte», che il 30 per cento dei bimbi sotto i 5 anni soffre di malnutrizione acuta, che ogni giorno da 2 a 4 adulti per ogni 10 mila muoiono di fame o per cause «non traumatiche». Un altro milione di abitanti di Gaza, entro lo stesso periodo, rientrerà nella categoria «4», «Emergenza».

C’è poi un altro tema: cosa mangiano i pochi che riescono a mettere le mani su uno degli scatoloni marchiati Ghf? Il 22 luglio, la stessa Foundation ha pubblicato le foto del contenuto standard: farina, sale, pasta, ceci, piselli, pasta di sesamo, lenticchie, olio. Oltre 42 mila calorie, «sufficienti per sfamare 5,5 persone per 3,5 giorni», ha sottolineato la Ghf.

In realtà, spiega un professore della London School of Economics alla Bbc, questa lista «garantisce uno stomaco pieno ma una dieta vuota»: «Seguire un’alimentazione simile per settimane porterebbe a una “fame nascosta” e aumenterebbe il rischio di malattie come l’anemia e lo scorbuto».

A Gaza, poi, sono quasi introvabili due elementi essenziali per cucinare: l’acqua e il gas per alimentare i fornelli. Quest’ultimo, in particolare, non viene più distribuito da maggio. Si trova solo sul mercato nero, a prezzi gonfiati del 4.000 per cento rispetto a quelli di prima la guerra.
L’ingresso nella Striscia di nuovi e più sostanziosi aiuti è vitale, infine, per un’altra ragione: non c’è altro modo per i gazawi di procurarsi beni alimentari. Nella Striscia, dopo due anni e mezzo di bombardamenti, il livello di distruzione ha raggiunto proporzioni elevatissime.

Già ad aprile, la Fao scriveva che l’83 per cento dei terreni coltivati, l’83 per cento dei pozzi agricoli e il 71 per cento delle serre agricole di Gaza erano stati danneggiati del tutto o parzialmente. E il 72 per cento delle imbarcazioni da pesca — un dato, questo, che risale addirittura a dicembre del 2024 — è ormai fuori uso. Nel frattempo, gli attacchi non si sono mai fermati, e si può quindi immaginare che ognuna di queste percentuali sia cresciuta.

I camion, dunque, sono l’unica speranza. Il Wfp assicura di avere 170 mila tonnellate di cibo già nella regione o in viaggio in quella direzione. Basterebbero a sfamare tutta la popolazione della Striscia per tre mesi. I gazawi aspettano.

 

(Fonte Corriere della Sera)