Cronaca

I colleghi non le diagnosticano un tumore al seno, dottoressa di Rimini muore, il marito dovrà essere risarcito

“Non ha niente, può andare”, ma non era così. Le avevano detto che era in perfetta salute e che non aveva nessun tumore al seno, ma dopo 3 anni e mezzo muore. Si è chiusa dopo 14 anni, dal punto di vista giudiziario, la vicenda relativa a una dottoressa 58enne morta perché i medici non hanno riconosciuto il tumore che aveva al seno, rimandandola a casa con diagnosi negativa. Al marito dovranno essere pagati 562 mila euro di risarcimento. Così ha stabilito la corte d’Appello bolognese. La donna si era sottoposta a una mammografia nel gennaio del 2011 in un ospedale di Riccione aderendo alla campagna di screening regionale ma era stata rassicurata di stare bene e che era tutto a posto. Ma non era così. Al termine della visita, stando al resoconto processuale, era stata informata che la mammografia risultava “normale” ovverosia priva di alterazioni sospette per tumore. A quel punto era tornata a casa tranquilla. La donna era un medico, sposata con un medico, entrambi di Rimini, e dopo oltre un anno e mezzo, nel novembre del 2012, decide di eseguire una seconda mammografia in una clinica romagnola, perché durante l’auto palpazione aveva avvertito qualcosa di strano. Stavolta l’esito degli esami è infausto: “carcinoma infiltrante e macrometastasi al linfonodo sentinella”.  A quel punto nel mese di gennaio del 2013 la donna si sottopone ad un intervento chirurgico e a cicli di chemioterapia ma è tardi ormai, la malattia è avanzata rapidamente, trattandosi di una forma tumorale molto aggressiva, e nonostante le cure a settembre del 2015 muore. Il marito che è anche lui come detto un medico, le era stato accanto durante tutto il percorso terapeutico ma dopo la morte di sua moglie, a mente un po’ più fredda, si rende conto che qualcosa non torna e decide di fare causa all’ospedale e all’Ausl Romagna, per capire cosa sia accaduto durante la prima mammografia. La stesa donna poco prima di morire aveva espresso la volontà di comprendere a fondo cosa fosse andato storto.

Nel processo è venuto fuori che i medici di Riccione hanno sbagliato la diagnosi e che il tumore era già individuabile nel gennaio del 2011. Concedere a tumori del genere oltre un anno e mezzo di tempo per progredire, per i giudici del Tribunale di Rimini è stato fatale. Di stesso avviso la corte d’Appello di Bologna che nei giorni scorsi ha pubblicato la sentenza di secondo grado: la responsabilità è dei medici che hanno sbagliato la diagnosi e non si sono accorti del tumore al seno della donna. Per i periti dei giudici “qualora la donna il 12 gennaio 2011 fosse stata correttamente avviata al doveroso approfondimento diagnosticato, probabilmente il tumore lobulare infiltrante presente alla mammella di destra sarebbe stato diagnosticato quando si trovava a uno stadio inferiore con aspettativa di sopravvivenza fino a 10 anni”. L’omessa diagnosi ha, quindi, anche per la corte d’Appello di Bologna anticipato la morte della paziente. “In conclusione, la corte ritiene come non sussista alcun dubbio circa la responsabilità dei sanitari e radiologi che refertarono la mammografia della donna nel gennaio del 2011”. In secondo grado però la quota totale del risarcimento dovuto dall’Ausl Romagna al marito è stato ridotto, come detto, a 562 mila euro, mentre in primo grado era stato di 2 milioni e 200 mila euro. Questo perché nella sentenza di primo grado era stata calcolata una possibilità di sopravvivenza più alta nel caso di tempestiva diagnosi.