De Clizibus

Genitori violenti e cyberbulismo, nell’Italia di Meloni aumentano i casi di omotransfobia

Dopo aver affossato con orgoglio il ddl Zan, l’attuale maggioranza continua la sua feroce crociata contro i diritti umani e civili della comunità lgbtq+ che fa registrare un aumento di aggressioni omobilesbotransfobiche fisiche e verbali senza precedenti. La storia che giunge oggi da Asti ha dell’incredibile, ma è se non altro una boccata d’aria di giustizia e rivincita, per quanto simbolica. Fabrizio Obbialero è stato vittima per anni di ossessive violenze e persecuzioni omofobe da parte del padre, restio ad accettare la sua sessualità. Dopo essere arrivato a creare profili social fittizi per denigrarlo e minacciarlo, l’uomo oggi 75enne, aveva persino ingaggiato un “picchiatore professionista” per pestare il figlio e spezzargli le dita, nel tentativo di distruggere la sua carriera di chirurgo. Il piano, fortunatamente sventato dal pentimento dell’energumeno romeno assoldato, si concluse con una condanna penale a 2 anni nel 2020 per lesioni aggravate e stalking, ma il genitore criminale, imbevuto di ignobile fanatismo ideologico, sicuramente fomentato dall’attuale clima politico, è tornato alla carica recidivo con insulti diffamatori, atti di vandalismo e messaggi minatori che hanno portato a una sentenza storica. Il tribunale civile della provincia piemontese ha riconosciuto per la prima volta in Italia “un danno biologico permanente all’integrità psichica (valutabile nella misura del 9%) causato da omofobia”. Il giudice Marco Bottallo ha infatti riscontrato un “contesto reiterato di offese e aggressioni” tale da creare nella vittima “un disturbo dell’adattamento con sintomi ansiosi e depressivi”. Il risarcimento di 1 euro, seppur ridicolo e simbolico, segna un precedente importante nella giurisprudenza italiana che finalmente ha riconosciuto la rilevanza della matrice omofobica nella violenza privata.

Fabrizio Obbialero oggi è un professionista stimato e un uomo felicemente risolto insieme al suo compagno, ma tanti, troppi ragazzi sono ancora ogni giorno vittime di bullismo e discriminazioni come lui, in famiglia o a scuola/lavoro, per la sola e unica colpa di voler vivere liberamente il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere. Solo nell’ultimo mese, mentre il governo Meloni si preoccupava di cancellare i fondi destinati all’educazione sessuo-affettiva e di vietare l’utilizzo di un linguaggio inclusivo nelle scuole, alimentando ancora una volta odio ed esclusione sociale, un’altra giovanissima trans si è tolta la vita a causa della mancanza di educazione e rispetto per la diversità. Alexandra Garulfi, 21 anni appena compiuti, si è suicidata a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, sparandosi con la pistola di ordinanza del padre guardia giurata. Tiktoker da 300.000 follower, aveva fatto coming out come donna transgender nel 2023 proprio sul noto social, rivelando di essere in procinto di iniziare la terapia ormonale. Da allora per lei era iniziato un calvario senza fine, fatto di continui insulti e battute transfobiche, aggravato per giunta da un pesante clima familiare che sicuramente ha contribuito alla tragica scelta. La Procura di Monza ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio sequestrando il telefono della vittima per individuare gli eventuali haters ma secondo Daniele Durante, delegato ai Diritti della segreteria di Sinistra Italiana a Milano che da due anni seguiva lə 21enne, non ci sono dubbi, trattasi di chiara istigazione al suicidio nel mondo oscuro del cyber bullismo: “Non posso considerare la sua morte un suicidio, ma un omicidio con assassini ben precisi: una società ‘tradizionale’ ed egoista che ignora l’impatto devastante del bullismo online su chi sta già affrontando un percorso complesso di autodeterminazione, e i movimenti anti-scelta come Pro Vita, Family Day e una destra intollerante che nega l’esistenza di queste persone, umiliandole fino alla morte. Alex aveva il coraggio di essere se stessə, di sfidare le convenzioni e di cercare la propria strada in un mondo che troppo spesso risponde con odio e violenza. È intollerabile che chi desidera semplicemente vivere liberamente debba affrontare una tale brutalità. Non possiamo più restare in silenzio e fermə. Dobbiamo agire, e dobbiamo farlo ora. Per Alex e per tutte le persone che ogni giorno lottano per essere se stesse. È tempo di costruire una società più giusta e inclusiva, unendoci alle associazioni e ai movimenti LGBTQIA+ per promuovere un’azione normativa forte e senza compromessi“.

Risoluta e comprensibilmente sdegnata anche la reazione di Roberta Parigiani, vicepresidente del MIT – Movimento Identità Trans:” “Alex non si è toltə la vita. È statə uccisə dal vostro odio. Dal veleno che sputate quotidianamente in questi maledetti social. Dal senso di impunità dietro cui vi barricate quando scrivete i vostri miseri commenti pieni di bullismo ed intrisi di transfobia. È statə uccisə dal menefreghismo, come quello con cui i media, anche dopo la morte, continuano a negare la matrice transfobica e la corresponsabilità di coloro che da mesi gettano benzina sul fuoco discriminatorio che brucia la pancia di questo Paese. È statə uccisə da uno Stato vigliacco, che non riconosce il crimine d’odio di matrice transfobica ma non vuole neanche assumersi la responsabilità politica di questo clima tossico. Mesi, mesi mesi di retoriche velenose contro di noi; cosa vi aspettavate? Mesi in cui questo Governo non ha fatto altro che soffiare sulla brace di una transfobia da sempre strisciante, ma che oggi è stata sdoganata come fosse un vanto. Cosa avete adesso da piangere?!? Non ci facciamo nulla con queste lacrime di coccodrillo piene di ipocrisia; domani continuerete ad odiare, ad odiarci, a riempire ogni spazio mediatico con la frustrazione rabbiosa con cui reagite alla nostra libertà ed autodeterminazione. Ne avete invidia. Ma a morire poi siamo sempre noi“.