Femminicidi, i dati del Viminale sui primi tre mesi del 2025, una piaga da debellare culturalmente
Femminicidio, una piaga da debellare e non solo con mezzi giuridici ma soprattutto culturali. Gli ultimi dati lasciano un piccolo spiraglio di speranza nel buio terribile di donne uccise da uomini brutali. Il femminicidio è un fenomeno che, ormai da tempo, occupa le prime pagine dei giornali. Spesso si tratta di delitti caratterizzati da una violenza estrema, premeditata e spietata. In alcuni casi, la giustizia interviene con condanne esemplari, nel tentativo di scoraggiare altri episodi simili. Ma il problema non è soltanto giuridico: è soprattutto culturale.
I numeri dei primi mesi del 2025.
Cosa dicono i dati? Secondo il report della direzione centrale della polizia criminale, del Vimninale, redatto trimestralmente, tra il 1° gennaio e il 31 marzo 2024 si erano registrati 80 omicidi volontari, di cui 26 vittime di sesso femminile. Nello stesso periodo del 2025, gli omicidi complessivi sono scesi a 57, con 17 donne uccise. Il calo è evidente, laddove anche un solo caso sarebbe troppo ovviamente, ma non deve farci abbassare la guardia. Le pene inflitte – in molti casi l’ergastolo – non sono sufficienti a estirpare il problema, che continuerà finché sopravvivrà una certa mentalità assurda e violenta, medioevale e retrograda.
La cultura del possesso.
Alla base di molti femminicidi c’è un modo distorto di vivere le relazioni affettive, fondato sul possesso. Alcuni uomini considerano la propria compagna come una proprietà, un oggetto da controllare, da punire o da eliminare in caso di “disobbedienza”. È l’essenza del pensiero maschilista, spesso accompagnato da un senso di superiorità intellettuale, morale e comportamentale. In molti casi non si tratta di uomini con disturbi psichiatrici, ma di individui incapaci di accettare un rifiuto, una separazione, un tradimento. È questa incapacità che, purtroppo, ha portato tante mani a colpire, tante lame a trafiggere, tante menti a pianificare la morte di una donna. I fascicoli giudiziari parlano chiaro: tra i moventi più frequenti ci sono la fine di una relazione, la gelosia, l’abbandono.
La voce degli esperti.
La criminologa Roberta Bruzzone, da anni impegnata nello studio dei reati di genere, descrive così il processo che porta molte donne alla sottomissione totale: “Questi uomini iniziano con l’isolare la vittima, per poterla colpire, umiliarla, assoggettarla, fino a trasformarla in una copia pesta di se stessa. Fino a convincerla che non ha scampo, che, in fondo, le botte e la morte se le è cercata. Un meccanismo tossico, spesso invisibile all’esterno, che distrugge lentamente la libertà, l’identità e la dignità della vittima”. Prevenzione culturale, dunque, non solo repressione che deve sempre essere portata avanti con il massimo rigore possibile. Non se ne può più di uomini che uccidono le donne che ddovrebbero amare. Un virus letale da debellare nella testa di tutti.
Di fronte a questo scenario, non bastano le condanne. È necessaria una vera e propria rivoluzione culturale. Bisogna lavorare sull’educazione sentimentale, sul rispetto dell’altro, sull’abbandono degli stereotipi di genere.
Solo sradicando la cultura maschilista, attraverso la scuola, l’informazione e la sensibilizzazione pubblica, sarà possibile costruire una società in cui nessuna donna debba più morire per mano di chi diceva di amarla.