Tu. Tu che hai fatto innamorare l’inverno. Tu che hai preso la velocità per la gola.
Tu che hai ri-disegnato il vento, insegnato alle lamine a volare e trasformato la paura in una curva perfetta.
Tu che non scii, ma comandi.
Tu che avevi ancora le mani sporche di gloria.
Tre – tre – Coppe del Mondo.
Come fossero sassolini raccolti in picchiata mentre le altre boccheggiavano dietro di te.
Come se vincere fosse una cosa semplice.
Naturale.
Tua.
Tu, ancora una volta tu e la montagna. Ma oggi la montagna ha fatto la bastarda.
Oggi, forse, la montagna si è ribellata a chi da troppo la domava rendendola obbediente ad ogni scatto di reni e piega.
Seconda manche.
Campionati Italiani.
Testa della classifica.
Una curva. Una sola.
Un’inforcata.
Un attimo.
E l’istante di gloria che si piega al rumore.
Il rumore che in chi ha sciato davvero rimane per sempre, latente, come destino vigliacco pronto a scattare di trappola e d’imprevisto.Il rumore. Quel rumore.
Crack. Crack. Crack. Quel crack che non senti con le orecchie, ma con l’anima franta e il cuore spaccato. Crack. La gamba non regge. Crack. La gamba che cede.
Crack, crack, urlano tibia e perone. Crack e la neve di contorno si muta. E tu stesa lì, su quella neve immobile e cinerea. La Regina delle nevi, stesa sulla neve. Silenzio assordante, per secondi e minuti. E poi. Poi l’elicottero.
Poi gli esami. Poi le facce tese. Poi, quelle parole che non avresti mai voluto sentire, ma che già forse conoscevi in segreto: Frattura scomposta pluriframmentaria del piatto tibiale e della testa del perone.
Non si cammina più. Non si scia più. Non adesso. Non domani. Forse per mesi. Forse per troppo. E tu che fai? Piangi? Urli? Maledici? No. Tu dici: “Sono dispiaciuta. E molto preoccupata”. Come se non stessi parlando della tua gamba, ma della stagione di qualcun altro. Come se il dolore – in fin dei conti – non ti avesse veramente ancora preso. Perché sei più forte pure del dolore. E allora ti scrivo io, Fede. Ti scrivo adesso, non quando tornerai. Ti scrivo adesso che sei lì, tra un letto e un pensiero che fa male. Adesso che ti stai leccando le ferite senza fare rumore. Adesso che ti dicono di fermarti, che devi aspettare, che ci vorrà tempo. Scrivo a te, che hai detto che “non baratteresti mai una Coppa con un Oro”. E sai perché? Perché le Coppe te le sei prese. Sudate. Soffiate via alle altre. Strappate alla montagna. Mentre le altre tremavano, tu acceleravi. Mentre le altre frenavano, tu volavi. E l’oro? Arriverà. Non perché lo vuoi. Ma perché è scritto. Perché Milano-Cortina non sarà una gara, sarà una resa dei conti. E quando metterai gli sci, quando sentirai la neve che ti parla, quando il silenzio della partenza sarà di nuovo tuo, il mondo intero dovrà tacere. Perché sarai tornata, tu, Brignone, La Regina delle Nevi. Tu, che non ha chiesto mai niente ma ti sei presa tutto. Tu, che non ti sei mai fatta compatire ma hai insegnato a tutti cosa vuol dire non mollare un centimetro. Tu che oggi no, non sei caduta, ma stai solo prendendo la rincorsa per tagliare per prima il traguardo a Cortina.