Cronaca

Ennesimo femminicidio, un bollettino di guerra ormai: uccide la ex mentre era ai domiciliari

Ancora un femminicidio, stavolta a Udine, ai domiciliari con il braccialetto, uccide la ex durante il permesso di due ore. Il tipo di dispositivo può dare l’allarme solo se l’indagato non rientra nel luogo di detenzione domiciliare ma non consente la localizzazione in caso di allontanamento. L’uomo era stato condannato per le violenze alla ex moglie. Il procuratore Massimo Lia: «Era meglio lasciarlo in carcere». I fatti son questi: un braccialetto elettronico che formalmente funziona. Che segnala giorno e notte la detenzione ai domiciliari, quella dell’uomo che lo porta alla caviglia, il 59enne Mohamed Naceur Saadi. Ma questo stesso dispositivo, come peraltro è stabilito dal codice, si «spegne» durante le due ore di permesso previste per lui. Ecco perché non c’è la possibilità di rintracciare i suoi spostamenti. Questo lo scenario, in generale.

Ma proprio sfruttando quel lasso di tempo, quei 120 minuti di «libertà» concessi dal giudice, Saadi, giovedì mattina, ha preso il treno a Monfalcone, la città in cui era ai domiciliari, e ha raggiunto Udine, dove viveva la moglie, Samia Bent Rejab Kedim, tra l’altro incrociata in tribunale martedì per la prima udienza della causa di separazione chiesta dalla donna. La distanza tra le due località è di circa quaranta chilometri, che il regionale percorre in un’ora scarsa. L’uomo, in possesso delle chiavi dell’abitazione, ha atteso che l’ex compagna rincasasse e l’ha uccisa con numerose coltellate. Poi è scappato con l’auto di lei. Una corsa finita centrando una betoniera giunta in senso opposto ed è quasi certo che con quello «scarto improvviso» l’uomo abbia deciso di togliersi la vita.

Sin qui la sintesi della dinamica di questo femminicidio. Il ventunesimo, nel 2025. Ora però c’è dell’altro: la morte di Samia solleva, ancora, interrogativi che ruotano attorno alle norme che regolano i braccialetti, i dispostivi che dovrebbero tutelare le donne dalle violenze.

I fatti sono eloquenti, ma riannodiamoli partendo dagli orari. Sono le 11 e 04 di giovedì. Alla sala operativa dei carabinieri di Monfalcone scatta l’allarme segnalato dal braccialetto di Saadi: l’uomo non è rincasato, aveva un permesso di due ore sino a quattro minuti prima, le 11. Quando pochi mnuti dopo una «volante» arriva a casa della donna, il delitto è già stato commesso. È il procuratore di Udine Massimo Lia — nel pomeriggio di ieri, in questura — a riepilogare il seguito, compresi gli interrogativi su quanto ruota attorno all’impiego del segnalatore.

Saadi, tunisino come Samia — lui operaio, lei dipendente in un’impresa di pulizie, due figlie maggiorenni e un terzo quindicenne — era «ai domiciliari con braccialetto per una condanna a 5 anni e 4 mesi con rito abbreviato, inflitta il 18 marzo 2025 per maltrattamento, lesioni aggravata e violenza sessuale aggravata ai danni di Samia».

II procuratore parla per circa mezzora, calibra le parole. «Il problema riguarda evidentemente questo permesso di allontanamento — osserva — per due ore al martedì e al giovedì concesso per esigenze personali» tipo spesa o visite mediche. Il magistrato chiarisce: Saadi «era stato in carcere un anno in attesa di giudizio, dal 10 febbraio 2024 al 22 febbraio 2025. Devo dire che questo tipo di misura e questa durata, prima del processo, sono elementi che non frequentemente si verificano nell’ambito delle attività giudiziarie, non accade spesso. Ci sono state la massima attenzione e la massima severità da parte del mio ufficio e da parte dell’ufficio del gip nel valutare pericolosità e condotta» del tunisino.

Dopo la condanna è arrivata la revoca: dalla Procura «c’è stato il parere favorevole solo sulla sostituzione della misura in carcere con gli arresti domiciliari e l’imposizione del braccialetto».
Lo strumento doveva servire, appunto, per «controllare costantemente» che Saadi non violasse le limitazioni. Il punto è che «il dispositivo applicato — spiega Lia al Corriere — monitora solo la permanenza nel luogo di detenzione domiciliare». In altre parole: non traccia eventuali spostamenti fuori da casa, limitandosi a lanciare l’allarme nel caso in cui venga violato l’orario stabilito per il ritorno. Insomma: «E’ un’assenza autorizzata». E per essere ancora più precisi: «con quel tipo tipo di braccialetto» gli spostamenti di Saadi «non erano coperti».

Domanda: perché non è stato usato un altro tipo di braccialetto, tipo quello con doppio segnalatore in azione — nei casi di stalking, per esempio — quando un indagato si avvicina minacciosamente alla persona da tutelare? «Non era questo il dispositivo previsto», al tunisino «erano stati dati gli arresti domiciliari che di per sé dovrebbero impedire l’avvicinamento dell’indagato alla vittima: è tutto previsto dal codice di rito». Lia sospira, riprende: «Con il senno del poi è facile dire che era meglio non sostituire la misura o non dare queste autorizzazioni». E ancora: «Se uno ha veramente la volontà di ledere l’incolumità di una persona, se non è in carcere prima o poi ci riesce».

(Fonte Corriere della Sera)