Ennesima lezione di civiltà al governo Meloni: sui documenti dei minori torna la dicitura “genitori” al posto di “padre” e “madre”
Cari lettori, chissà se tornerà virale il video del 2019 di una Giorgia Meloni schiumante alla manifestazione del centrodestra, in piazza San Giovanni a Roma, al grido di “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana…vogliono che siamo genitore 1, genitore 2”, ora che la Suprema Corte ha assestato l’ennesimo schiaffo di civiltà al suo governo confermando la dicitura “genitori”, al posto di “padre” e “madre” sui documenti dei minori! Il ricorso presentato contro una coppia di donne dal ministro dell’interno Matteo Piantedosi nel 2024 e appoggiato dalla premier, è stato giudicato “irragionevole e discriminatorio”, esattamente come nella precedente sentenza n. 9216 che respingeva l’impugnazione di un altro ministro, quello dei trasporti Matteo Salvini, con la chiara motivazione che “ la dicitura “padre” / “madre” non rappresenta tutti i nuclei familiari e i loro legittimi rapporti di filiazione. L’indicazione corretta è dunque “genitore”. Una guerra ideologica, quella del leader della Lega imposta tramite decreto nel 2019, criticata persino dal Garante della Privacy che denunciava “effetti discriminatori su quei minori che non avevano una figura paterna o materna, ma anche problemi burocratici con la raccolta dei dati e con le normative europee”.
Dopo la vergognosa circolare con cui il ministro Piantedosi ha ordinato ai prefetti di bloccare il riconoscimento dei figli delle coppie Lgbt e la legge ignobile che ha reso la Gpa (gestazione per altri) “reato universale”, la crociata dell’attuale maggioranza contro le famiglie omogenitoriali ha subito una battuta d’arresto con questa sentenza tombale che pone fine a una battaglia iniziata due anni fa, quando una coppia di mamme, ricorsa alla stepchild adoption, chiedeva prima al Tar del Lazio e poi al Tribunale di Roma, l’emissione di un documento d’identità in grado di “rispecchiare la reale composizione della loro famiglia”. Il Tribunale aveva accolto la richiesta delle due, dichiarando di fatto illegittimo il decreto Salvini “in quanto il documento emesso integra gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico”. Dopo l’ impugnazione del segretario del Carroccio, la Corte d’Appello dà nuovamente ragione alle donne nel febbraio 2024, ribadendo che “sulla carta d’identità di un bambino/bambina non possono essere indicati dati personali diversi da quelli che risultano nei registri dello stato civile, le diciture previste dai modelli ministeriali per l’emissione della carta d’identità non sono rappresentative di tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei correlati rapporti di filiazione” e condanna pure il leader leghista al pagamento delle spese processuali!
Qualsiasi persona di buon senso si sarebbe arresa dinanzi a motivazioni così semplici ed eventi, ma il governo Meloni, nella figura del ministro Piantedosi, deciso a perseguitare e calpestare fino in fondo ogni diritto umano di una minoranza indifesa in barba a qualsiasi principio di civile democrazia, non si arrende e il 10 aprile del 2024 presenta il ricorso che oggi è stato definitamente bollato come “inammissibile e infondato” poiché il decreto Salvini del 2019 “è irragionevole e discriminatorio dato che imponeva all’altra (madre) di veder classificata la propria relazione di parentela secondo una modalità (“padre”) non consona al suo genere”.
La sentenza è stata accolta con grande soddisfazione da Vincenzo Miri, presidente di Rete Lenford, e Alessia Crocini, presidente di Famiglie Arcobaleno, che hanno sostenuto con i loro legali la battaglia delle due mamme: ”Qualche giorno fa la Corte di Cassazione aveva respinto un altro ricorso del ministero su una vicenda identica: il ministero dell’Interno aveva presentato l’impugnazione contro la sentenza a favore di una coppia di mamme con ben 105 giorni di ritardo pur di contestare una legittima dicitura. E ha perso, con condanna alle spese di lite. Esistono, quindi, oggi due famiglie che potranno veder emessa una carta d’identità rispettosa delle proprie identità”.
Dalla politica arrivano le reazioni soddisfatte delle opposizioni. Per l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, ora deputata Pd, “la Cassazione ha messo fine a una forma di bullismo di Stato perpetrata per anni da Salvini, che impose “padre” e “madre”, e da Meloni che ne ha fatto oggetto della sua propaganda politica. La Cassazione scrive nero su bianco che tutto questo è “irragionevole e discriminatorio”. Ora se ne facciano una ragione: esistono tanti tipi di famiglie e i documenti non possono ignorarlo”, scrive in una nota. Dal Parlamento europeo intervengono i rappresentanti del Movimento 5 stelle Mario Furore e Carolina Morace: “La Cassazione dà una lezione di civiltà a Matteo Salvini e a tutta la destra in generale. La sentenza che respinge il ricorso del ministero degli Interni sulle diciture “padre” e “madre” nei documenti d’identità fa la storia. Giustizia è fatta, tuttavia ci chiediamo quando arriverà il momento anche in Italia per una legge che riconosca tutti i bambini e tutte le famiglie, a prescindere dal loro orientamento sessuale”, dichiarano.
Festeggia anche il segretario di +Europa Riccardo Magi: “Salvini al ministero dell’Interno era anche questo: una crociata senza senso contro le inesistenti parole “genitore 1” e “genitore 2” sui documenti che aveva fatto sostituire con “padre” e “madre” a costo, diceva lui, di essere un “troglodita”. Bene, ci sono voluti anni ma la Cassazione ha finalmente messo fine ad una norma nata solo per discriminare”, afferma. Per Alessandro Zan, europarlamentare e responsabile Diritti del Pd, “la sentenza della Cassazione è storica e mette un punto fermo: la tutela dei diritti di tutti i figli è prioritaria. Negare a una bambina o a un bambino un documento d’identità che rappresenti “le legittime conformazioni dei nuclei familiari” è una violazione grave e discriminatoria. In sostanza è illegittimo scrivere sulla carta d’identità “madre” e “padre” quando la realtà familiare è costituita da due genitori dello stesso sesso, tramite il ricorso all’adozione per casi particolari. Si infrange così contro la realtà, la crociata ideologica portata avanti dalla destra nei confronti delle famiglie arcobaleno”.