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Emergenza clima, è in corso la tropicalizzazione del Mediterraneo: l’allarme degli esperti

Bombe d’acqua, sottopassi allagati, strade interrotte da frane, cedimenti e crolli. Solo l’ultimo a Montecatini, dove il 24 novembre della settimana scorsa, il muro delle Panteraie è capitolato sotto la morsa della pioggia. E’ il segnale di un clima totalmente compromesso. A partire dalla Toscana, dove in pochi minuti cade ormai l’acqua di una settimana. E il terreno non regge. Un fenomeno che accade sempre più spesso, con conseguenze sotto gli occhi di tutti: cancelli trascinati dal fango, sottopassi allagati e argini che tremano. Ma l’emergenza riguarda tutto il paese. Dalla Liguria alla Campania, dal Piemonte alla Sicilia. Da nord a sud, senza eccezioni, assistiamo a un crescendo di eventi estremi: bombe d’acqua, grandinate improvvise, alluvioni-lampo, estati torride e inverni anomali. E la scienza non lascia spazio a dubbi: gli esperti parlano di “emergenza climatica” già da anni, anche se qualcuno continua a negarla.

A smentire in “dissidenti” anche la pubblicazione su Scientific Reports nel dicembre 2020, dal titolo “Fingerprint of climate change in precipitation aggressiveness across the central Mediterranean (Italian) area”: lo studio evidenzia che nella zona del Mediterraneo si osservava un aumento significativo nell’aggressività delle precipitazioni legate ai cambiamenti climatici. In particolare, dall’analisi emerge che gli eventi estremi (nubifragi, alluvioni lampo) sono in aumento dal punto di vista statistico, l’intensità delle precipitazioni estreme è mediamente più elevata rispetto al passato e i fenomeni si concentrano in archi temporali molto brevi (1–3 ore), causando allagamenti e frane. Queste – sottolineano gli scienziati – non sono “anomalie casuali”, ma conseguenze prevedibili del riscaldamento globale: “Con più energia nell’atmosfera (a causa dell’aumento delle temperature), le masse d’aria trattengono più vapore acqueo. Quando rilasciano precipitazioni, lo fanno in modo più violento e concentrato”.

In un suo report, ISPRA definisce questa dinamica come “tropicalizzazione del ciclo idrogeologico”, ovvero lunghi periodi secchi seguiti da piogge esplosive, che rendono fragili soprattutto i territori collinari e argillosi come molte zone della Toscana e del centro Italia, dove il terreno rimane secco per settimane e perde capacità di assorbimento. Addio, quindi, al clima tradizionale mediterraneo, caratterizzato dall’alternanza regolare di piogge moderate e da stagioni ben definite. Una situazione che ci prende alla sprovvista: le città italiane sono costruite secondo logiche degli anni ’60, ponti degli anni ’80, muri di contenimento vecchi perfino di un secolo. Le infrastrutture del bel paese sono totalmente inadeguate al nuovo clima: è come usare l’ombrello per difendersi da uno tsunami.

Quando il terreno non regge più, le città assorbono acqua come spugne, le frane diventano routine, non si può parlare più di un evento isolato, ma di un allarme generale. Il clima sta mettendo l’umanità davanti al fatto compiuto. Le scelte che non abbiamo fatto negli ultimi 30 anni — su consumo di suolo, manutenzione del territorio, emissioni — le paghiamo adesso. La soluzione? Non c’è una risposta a breve termine. Serve un cambio di mentalità: riconoscere che il rischio idrogeologico non è una possibilità remota, ma una certezza. Non solo in Toscana, ma in tutta l’Italia. E ricostruire il paese secondo la logica della prevenzione.