E’ morto Raffaele Fiore, il brigatista torinese che aveva partecipato alla strage di via Fani
Lunedì 28 luglio è morto l’ex terrorista Raffaele Fiore, di 71 anni, che durante gli anni di piombo militò nelle Brigate Rosse di Torino col nome di battaglia “Marcello”. Nato nel 1954 a Bari, in Puglia, come tanti altri meridionali conosce la storia dell’emigrazione al nord per cercare lavoro come operaio della Breda di Sesto San Giovanni, nella periferia di Milano. Qui viene a contatto con operai che promuovevano la lotta armata contro lo stato e l’abbattimento della società borghese che lo governava. La sua attività di brigatista a Torino iniziò nell’aprile del 1977, quando ferì alle gambe il capo-officina della FIAT Antonio Munari (in questo attacco prese parte anche Angela Vai, che sarebbe in seguito diventata sua moglie) e partecipò come autista all’assassinio dell’avvocato ed ex partigiano Fulvio Croce. Al momento di questi delitti, lui è già capo della colonna torinese, una delle costole più attive dell’organizzazione. Sempre nel capoluogo piemontese compì di persona l’attentato in cui perse la vita il giornalista Carlo Casalegno, che nei suoi articoli su La Stampa invitava la gente a non sostenere i gruppi terroristici.
Il 1978 per Fiore è un anno particolare, perché a Roma compie l’attentato più noto: il 16 marzo 1978 partecipò al commando di dieci militanti che in via Fani rapì il presidente del consiglio Aldo Moro dopo aver assassinato la scorta incaricata di proteggere lo statista. Fiore fu uno dei due brigatisti che tirò fuori Moro dalla macchina. Poco dopo aver partecipato al duplice omicidio di due agenti di Pubblica Sicurezza, Salvatore Lanza e Salvatore Pusceddu, in servizio di sorveglianza fuori dal carcere di Torino, divenne membro del Comitato Esecutivo, il massimo organo di direzione delle Brigate Rosse, ma è una nomina che non vivrà a lungo. Il 19 marzo 1979 fu arrestato quasi per caso (lui credette sempre di essere stato consegnato da una “soffiata”) dalla polizia perché ormai costretto a vivere in clandestinità a causa della reazione compatta della sinistra parlamentare a sostenere la lotta dello stato contro il terrorismo brigatista.
Il 24 gennaio 1983, si tenne il Processo Moro-Uno; Fiore fu condannato in primo grado all’ergastolo. A differenza di altri suoi ex compagni di lotta, Fiore non diede mai il minimo segno di pentimento, né collaborò le autorità nelle indagini contro le Brigate Rosse. Rimase delle proprie convinzioni anche dopo la riduzione della pena che ricevette già nel 1997, quando iniziò a godere della libertà condizionale. Da allora iniziò a lavorare alla Cooperazione Sociale Futura, a Sarmato, in provincia di Piacenza. Nel 2007 partecipò alla stesura del libro di Aldo Grandi “l’ultimo brigatista”, dove raccontò la sua versione dei fatti sul suo operato nelle Brigate Rosse. Nel realizzare il libro continuava a rivendicare la coerenza della lotta armata. Nonostante la gravità dei delitti che aveva commesso, era in libertà condizionale da quasi 30 anni, precisamente dal 1997, dopo essere stato in carcere per circa 18 anni, arrestato nel capoluogo piemontese nel 1979. Era sposato con Angela Vai, anche lei brigatista, morta qualche mese fa. Un brigatista feroce e convinto. E’ morto in casa.