Donald Trump pronto a entrare in guerra al fianco di Israele, ultimatum all’Iran: “Arrendetevi”
Alla fine è arrivato l’ultimatum di Trump all’Iran: “Arrendetevi”. L’ultimo messaggio che gli iraniani potrebbero aver visto apparire sugli schermi dei telefonini è l’intimidazione «resa incondizionata», emanata in lettere maiuscole e con punto esclamativo da Donald Trump. Pochi minuti dopo l’intelligence israeliana ha lanciato un attacco informatico contro i sistemi elettronici della repubblica islamica e il regime ha ordinato a tutti i cittadini di scollegarsi dai social media per evitare infiltrazioni.
Le minacce del presidente americano sono andate crescendo dopo il ritorno alla Casa Bianca, deciso all’improvviso dopo aver salutato in anticipo i leader internazionali riuniti in Canada per il G7, spiegando che preferisce condurre gli incontri di emergenza di persona anziché al telefono. «Abbiamo adesso il controllo completo e totale dei cieli sopra l’Iran», ha detto. L’enfasi è sul noi: uno dei suoi consiglieri conferma che si riferisce agli Stati Uniti e non a una plurale alleanza con Israele. «Sappiamo con esattezza dove la cosiddetta Guida suprema si nasconde. È un bersaglio facile, ma lì è al sicuro, non lo elimineremo, almeno per ora». Enfasi sul per ora. «La nostra pazienza si sta esaurendo». La risposta di Khamenei, come riporta Al Jazeera, arriva su X: «La battaglia ha inizio».
Dopo questa serie di post bellicosi, ieri all’ora pranzo, il presidente ha convocato il consiglio per la Sicurezza nazionale nella Situation Room dove è rimasto per un’ora e venti minuti. È la stanza della Casa Bianca — in realtà più di una su 460 metri quadri — dove i presidenti si installano per tenere sotto controllo le crisi, monitorare le guerre degli altri o decidere di partecipare a una.
È quello che sperano — ne sono convinti — il premier Benjamin Netanyahu, che subito dopo ha parlato al telefono con il presidente americano, e Israel Katz, il ministro della Difesa: Trump si sta preparando a entrare nel conflitto contro l’Iran, i bombardieri americani sono gli unici in grado di trasportare e sganciare le Gbu-57, con testate esplosive da 14 tonnellate che potrebbero penetrare le protezioni attorno alla centrale nucleare di Fordow, scavata dentro una montagna.
Il presidente francese Emmanuel Macron invece aveva detto la sera prima che Trump stava cercando di arrivare ad un cessate il fuoco. Il presidente americano, ancora in aereo verso Washington, l’ha subito smentito: «Non ho detto che sto cercando un cessate il fuoco. Quello lo dice Emmanuel, un brav’uomo, ma spesso non capisce. Cerchiamo qualcosa di meglio di un cessate il fuoco… Una fine, voglio una vera fine, non un cessate il fuoco, oppure rinunciare completamente».
«Qualcosa succederà», aveva detto in modo ugualmente vago Trump poco prima, affermando che gli iraniani sarebbero dei pazzi a non accettare un accordo. Macron non sembra essere l’unico ad avere difficoltà di interpretare la strategia del presidente durante il G7. Anche il premier britannico Keir Starmer, interrogato dai giornalisti martedì mattina, aveva detto di «non avere dubbi» che il presidente americano intendesse stare fuori dal conflitto tra Israele e l’Iran: «Non c’è nulla che abbia detto il presidente che suggerisca che stia per essere coinvolto in questo conflitto. Al contrario, il comunicato del G7 è sulla de-escalation».
Di diverso avviso il cancelliere tedesco Friedrich Merz, che in un’intervista televisiva ha confermato che gli Stati Uniti stanno valutando l’intervento in Iran, specificando che la decisione potrebbe essere imminente. «Ne abbiamo parlato», ha detto: la decisione «dipende dalla volontà del regime di tornare a negoziare. Dobbiamo aspettare e vedere». Lo stesso Merz ha affermato che Israele «ha il coraggio di fare il lavoro sporco per tutti noi: se l’Iran non fa marcia indietro, la distruzione completa del programma nucleare iraniano è all’ordine del giorno, cosa che Israele non può ottenere da solo».
Perché l’operazione ordinata da Netanyahu nella notte tra giovedì e venerdì permetta di smantellare o almeno rallentare per lungo tempo lo sviluppo della Bomba — progetto che gli iraniani smentiscono, ma che ormai anche l’Agenzia atomica delle Nazioni Unite in teoria conferma — è necessario attaccare questo sito considerato inespugnabile. Ehud Barak, il soldato più decorato della Storia di Israele e stratega da ministro della Difesa dei primi piani d’attacco su Teheran, è scettico sull’efficacia totale di un bombardamento statunitense. È convinto — ha spiegato alla Cnn — che i pasdaran potrebbero ripartire con lo sviluppo dopo qualche mese.
Per questa ragione i proclami di Netanyahu hanno sempre incluso riferimenti all’opzione del cambio di regime con gli appelli al popolo iraniano perché si ribelli. E Trump ordina la «resa totale», anche se fino a lunedì il presidente ancora vagheggiava della possibilità di negoziare, di tornare alle trattative con gli emissari di Ali Khamenei, la Guida suprema, interrotte dall’offensiva di Tsahal.
(Fonte Corriere della Sera)