Cronaca

Dona tutti i suoi beni al nipote poi chiede ai giudici la revoca per “ingratitudine”, ma nel processo viene fuori ben altro e perde la causa

Dona case e terreni al nipote, poi prova a riprenderseli ma solo per ritorsione contro il figlio condannato per violenza sessuala aggravata, per aver abusato della figlia minorenne. Il tribunale le dice no, e nel processo civile riemerge tutto l’orrore di quello penale che aveva condannato un padre per aver violentto la figlia piccola. Nel 2015 gli ha dato tutto: una casa, terreni, perfino una parte del futuro. Poi, quando suo figlio viene arrestato per violenza aggravata sulla figlia minorenne, cambia tutto. E quella stessa donna, nonna del beneficiario, decide di portare il nipote in tribunale: vuole indietro ciò che gli ha donato. Non perché lui abbia fatto qualcosa di grave, ma perché ha preso le distanze da suo padre. Quella casa non doveva più essere sua. Quei terreni, neanche. La giustizia però non si presta a vendette familiari. E la sentenza è chiara:
la donna ha perso.

La storia.
Tutto comincia in uno studio notarile di Saluzzo, estate 2015. La donna firma due atti in favore del nipote: una donazione e una compravendita, per un totale di circa 700.000 euro in immobili e terreni agricoli. Dice che è un modo per “riconoscere il suo affetto”. Ma quell’affetto ha una scadenza. Due anni dopo, nel 2017, il figlio della donna viene denunciato dalla moglie per violenze domestiche e abusi sessuali sulla figlia. Viene allontanato da casa. Nel 2018 arriva la condanna in primo grado: 8 anni di carcere. Sentenza confermata in appello.E lì, la famiglia si divide. Il nipote — figlio della donna abusata — rimane con la madre. La nonna si schiera col padre, con suo figlio. E allora il nipote diventa un nemico.
La battaglia legale.
Nel 2021, sei anni dopo la donazione, la donna decide di fare causa al nipote. Sostiene che lui è “ingrato”, che l’ha insultata in una telefonata, che allevava maiali sotto la sua finestra, che non l’ha aiutata economicamente nei momenti difficili. Chiede la revoca della donazione, per “ingratitudine”, vuole indietro tutto. Ma secondo il Tribunale, la causa non ha basi. Perché? L’“ingiuria grave” non esiste: quella telefonata, per quanto accesa, era solo una lite tra parenti, la a donna non era indigente: aveva una pensione di 890 euro al mese, nessun affitto da pagare, e riceveva regolarmente 1.000 euro mensili dal nipote per l’acquisto delle quote immobiliari.
La presunta restituzione dei soldi della compravendita non è dimostrata.
Si legge tra le righe: è la vendetta di una madre che, perso il figlio per reati gravi, vuole colpire chi gli è andato contro. Un’azione civile costruita sul rancore, non sui fatti. Il 23 aprile 2025 arriva la decisione:
la domanda è respinta. La donna è condannata a pagare 22.457 euro di spese legali. Le sue accuse si sgretolano, una per una. La giustizia non cancella un atto notarile solo perché i legami familiari si sono rotti. Una donazione non si strappa come una fotografia. E il tribunale non è il luogo dove regolare conti personali.
Non è una storia di povertà o bisogno. È la storia di una nonna che si è schierata col carnefice e ha tentato di punire chi non lo ha fatto. Ma la legge ha un limite, anche per i legami di sangue: se dai, e il tempo passa, non puoi riprenderti ciò che hai dato. Soprattutto se lo fai per vendetta. Servono motivazioni serie per provare “l’ingratitudine”, ma non era questo il caso.