L’insegnante? “Non è un lavoro adatto a tutti: per farlo, serve passione”. Almeno una volta nella vita, questa frase arriva alle orecchie di ognuno di noi. Da madri, padri, parenti, amici, conoscenti. Da esperti di ogni tipo attraverso lo schermo della tv . E siamo d’accordo, alla fine: la motivazione della ‘passione’ mette tutti a tacere. Per insegnare, pensiamo, “è proprio necessario quel sacro fuoco che brucia dentro”, del tipo, “oh capitano, mio capitano!”.
L’immagine di Robin Williams che impartisce lezioni sulla fugacità della vita umana invitandoci a ‘cogliere l’attimo’, ha fatto innamorare tutto il mondo della professione di docente. Ma immaginiamocelo oggi, il nostro Robin, e immaginiamocelo giovane e italiano: appena uscito da una delle nostre università, una laurea in tasca, in mano tante speranze… Immaginiamo che scelga, spinto dalla ‘passione’, di intraprendere la strada dell’insegnamento: vuole fare il professore, che c’è di male, anzi. Piovono lodi su di lui, per aver optato per una professione tanto nobile, tanto generosa, tanto…
Tanto cara, soprattutto: no, non in quel senso. Tanto economicamente, cara: in Italia, per diventare professore devi avere le tasche piene di soldi. La passione, se c’è, bene: ma non ti paga ‘l’accesso’ alla professione. A meno che il Ministero dell’Istruzione e del Merito, baciato da una divina sapienza, non cambi le carte in tavola. Che potrebbe anche essere, ma con maggiore probabilità, nella direzione opposta a quella auspicata…
Ebbene sì, in Italia per diventare prof., devi sborsare. Non basta aver pagato almeno 5 anni di tasse universitarie per raggiungere l’agognata laurea: quando la ottieni, infatti, ti rendi conto che da sola non serve a niente. Perché?
Torniamo a Robin. C’è un sistema, la ‘graduatoria provinciale di supplenza’ (Gps), in cui il nostro ragazzo, per poter ricevere un incarico, si inserisce appena possibile. Appena possibile perché la graduatoria spalanca le sue porte ogni 2 anni: quindi, se malauguratamente Robin si laurea appena è stato chiuso il sistema, deve aspettare 2 anni. Ma scegliamo l’ipotesi migliore: perché essere sempre così pessimisti, dopotutto?
Allora, lui si laurea e si inserisce subito nelle Gps: un meccanismo che assegna punteggio in base ai titoli di studio, alle supplenze e a vari corsi riconosciuti dal Miur, grazie a cui si possono acquisire varie competenze. Dalle lingue all’utilizzo della lavagna elettronica, e così via…
La laurea, Robin ce l’ha: tuttavia, non può aver maturato supplenze, perché non ha mai messo piede in un’aula se non da studente. Robin si ritrova inevitabilmente catapultato infondo alla graduatoria: che fare? Così non lo chiameranno mai, neanche per un incarico breve. Le possibilità di vedersi assegnata una supplenza sono appese ai corsi accreditati dal Miur, grazie a cui acquisire qualche punteggio, e scalare la ‘classifica’ delle gps: peccato che si renderà subito conto del loro costo. E lui, di soldi non ne ha: è appena uscito dall’università.
Si parla infatti di corsi che vanno dai 100 euro per avere mezzo punto, a diverse migliaia di euro. Al vertice ci sono i Master che possono superare i 10mila euro, per l’equivalente di un massimo di 5 punti. A pari merito con i Master, le certificazioni linguistiche, fino a 400 euro per un massimo di 6 punti: poi quelle informatiche e digitali con 0,5 punti ognuna, anche queste per un costo che può scavalcare i 400 euro. E gli immancabili corsi di perfezionamento da 1 punto, che si attestano fra i 400 e i mille euro..
Che fare? Per quale corso optare? Quanti soldi sborsare? E soprattutto, dove prenderli?
Ma poi arriva l’occasione, si chiama concorso pubblico e passarlo è la svolta: si diventa di ruolo, conquistando un posto a tempo indeterminato come docente della scuola pubblica. Robin pensa di poterlo sostenere, perché ha la laurea: ma si sbaglia. Oggi, nessuno può partecipare senza possedere anche la cosiddetta abilitazione all’insegnamento: e neanche a dirlo, servono altri soldi. Tanti. Non 300, non mille e nemmeno 1500 euro: ne servono, per chi ha in tasca ‘solo’ la laurea, 2500.
A questo punto, Robin decide di posticipare il suo sogno di diventare docente della scuola pubblica italiana: si troverà un altro impiego per mettere da parte i soldi necessari per concretizzare la sua ‘passione’ in professione, ed eventualmente, se possibile, per mantenersi. Sennò rimarrà a vivere a casa dei suoi genitori ancora per un po’. Altri, che non hanno passione ma maggiori disponibilità economiche, invece diventeranno docenti: pagheranno il corso abilitante, che li sposterà in alto nella graduatoria provinciale delle supplenze; riceveranno un incarico, accumuleranno punteggio, e l’anno successivo avranno di nuovo un incarico assicurato. Poi arriverà il concorso, e loro avranno le carte in regola per partecipare. Mentre il nostro Robin, con la sua passione, li saluterà da lontano.