“Canto al Roscio”, quarti di fuoco, Sinner batte Bublik e va in semifinale al Roland Garros
Vorrei cominciare da te, oggi, Aleksandr Bublik. Mentre Roma è lontana, e il cielo di questo inizio giugno vibra già di luce e di caldo e di voglia di tennis e di vita, ancora mi pulsa dentro quanto è accaduto, poco fa, sulla terra sacra di Parigi.
Vorrei cominciare da te, Bublik.
Che forse neppure tu ci credevi davvero di poter arrivare sin qui, a un quarto di Slam, in questo momento.
Che forse nemmeno tu lo sognavi più, un palco così.
E invece.
Hai sorriso con occhi limpidi, con il volto di chi ha girato il mondo e ha conosciuto la fatica, il dolore, la passione, e che solo adesso — forse — sta trovando un poco di pace.
Hai occhi pieni, occhi veri, di chi oggi ha dato tutto e più ancora.
E che niente ha da rimproverarsi.
Perché ci hai provato con ogni fibra, con ogni stilla, e anche con quelle che non sapevi di avere.
E quando giochi così, Bublik, sei bellezza che danza sull’orlo del precipizio.
Un giullare tragico, sì. Ma anche un poeta.
E quell’Uomo là, oltre la rete — tu lo conoscevi.
Meglio di molti.
Sapevi già che no, quello non è umano.
Non lo era da ragazzo.
Figuriamoci adesso.
Eppure ti sei ribellato.
Nel secondo set.
Con fierezza, con orgoglio, con cuore che batteva forte.
Hai lottato. Hai graffiato.
Hai rischiato.
Perché perdere sì — ma non arrendersi.
E per qualche istante, sì, gliel’hai fatto sentire il fiato sul collo, a quel Cavaliere Roscio, in armatura di titanio e di gelo.
Ma tu lo sai, Bublik, come lo sappiamo tutti:
quando tu ti infiammi, Lui si infiamma il doppio.
Quando tu osi sfidarlo, Lui sale ancora.
Al Roscio, il fastidio non va concesso.
Mai.
E allora oggi, Bublik, puoi sorridere.
Per ciò che sei.
Per ciò che hai mostrato.
Per ciò che, con coraggio, hai saputo tornare a essere.
Perché oggi — ancora una volta — abbiamo visto limpido l’abisso che separa voi, giocatori,
da Lui, che oggi il tennis è.
E che lo abita.
Da un’altra dimensione.
Non basta il punteggio a raccontarlo.
Hai giocato. Hai lottato.
Hai osato.
Eppure in un lampo ti sei trovato sotto. 6-1.
Nel secondo hai trovato l’arte: smorzate soavi, colpi cesellati.
Hai spinto oltre ogni limite.
Ma voi, quando toccate il massimo,
Lui, lieve, sale ancora. Una tacca.
E tanto basta.
Per perdere 7-5 con Lui, anche non ancora al suo apice,
bisogna svendere anche l’anima.
E quando Lui ti ghermisce nel tuo momento più alto —
non c’è scampo.
E allora a te, Jannik, Imperatore Roscio,
non resta che dire ancora una volta grazie.
Ma ora — ora più che mai — dovrai salire ancora.
Più in alto.
Più forte.
Più feroce.
Perché i veri mostri sono ormai alle porte.
E servirà il tuo Infinito più puro, più abbagliante,
per spalancare ancora una volta i cancelli dell’Olimpo.