Caldo estremo, in carcere per i detenuti diventa un vero e proprio inferno ma nessuno fa niente o se ne occupa
Esiste una rivista “Ristretti orizzonti” scritta interamente da detenuti e in questi giorni tra i vari argomenti trattati c’è stato anche quello del caldo opprimente che in carcere può diventare un vero inferno”. Un intervento dell’ex garante nazionale dei detenuti suil tema è davvero esplicativo. “In estate, caldo e sovraffollamento trasformano la cella in un inferno. I suicidi aumentano, ma l’assistenza per i detenuti resta un miraggio. Nei primi cinque mesi del 2025, 33 detenuti si sono tolti la vita negli istituti penitenziari italiani. Un numero allarmante, che conferma una tendenza in drammatico peggioramento: il 2024 si era già chiuso con un tragico record di 92 suicidi, il dato più alto mai registrato”.
Secondo Mauro Palma, ex garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, “il quadro complessivo delle carceri italiane è oggi uno dei peggiori degli ultimi anni”. Negli ultimi due anni e mezzo, spiega a VD News, “i detenuti sono aumentati di quasi 7.000 unità, mentre i posti effettivamente disponibili sono diminuiti”.
Oggi le carceri italiane ospitano circa 62.000 persone, a fronte di una capienza regolamentare di poco superiore ai 51.000 posti. Di questi, almeno 4.000 risultano inagibili o in ristrutturazione. Il sovraffollamento medio supera il 133%, con punte fino al 200% in istituti come San Vittore. Ma il problema non è solo numerico: “Si entra di più e si esce di meno – spiega Palma -. Inoltre, molti reati sono cosiddetti endocarcerari, ovvero commessi dentro il carcere, spesso come reazione a condizioni di detenzione sempre più dure”.
Il tasso di suicidi tra i detenuti italiani è circa 25 volte superiore a quello della popolazione libera. Ogni 10.000 detenuti, quasi 15 scelgono di togliersi la vita. Un dato che riflette un mix micidiale di isolamento, mancanza di assistenza psicologica, condizioni materiali disumane e una gestione carceraria sempre più punitiva.
“Non si può continuare a rispondere con sole misure di sicurezza – sottolinea Palma -. Servono interventi che riducano la tensione e strategie di deflazione della popolazione carceraria. Senza una riduzione del numero di detenuti, la situazione diventerà sempre più insostenibile: per chi vive e per chi lavora negli istituti”.
L’estate aggrava la crisi. Nelle scorse settimane, Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma oggi detenuto a Rebibbia, ha denunciato in una lettera le condizioni disumane in cui si vive in carcere durante i mesi caldi: celle surriscaldate, fino a 10 gradi di differenza tra i piani alti e quelli bassi, assenza di climatizzazione, scarsità di spazi d’aria e un sistema burocratico che blocca l’accesso alle misure alternative anche per chi ne avrebbe diritto.
“Il caldo esaspera le tensioni – conferma Palma -. Le attività trattamentali si riducono, cresce il tempo trascorso chiusi in cella. Storicamente, i mesi estivi coincidono con un aumento dei suicidi. Eppure, anche soluzioni semplici, come garantire più ore all’aperto, diventano difficili da applicare quando ci sono 15mila persone in più del previsto. Nemmeno le direzioni più volenterose riescono a garantire condizioni dignitose in queste condizioni”.
“L’emergenza è ancora più grave per le persone trans detenute, come dimostra il caso del carcere di Ferrara: una donna trans è stata violentata da quattro uomini nella sezione maschile dove era ristretta. Un caso che ha riportato l’attenzione su una realtà fatta di discriminazione, invisibilità e violenza istituzionale”.
In Italia sono circa 80 le persone trans detenute, quasi tutte in transizione da maschio a femmina. Nonostante molte abbiano documenti che indicano il genere femminile, vengono collocate in carceri maschili se non hanno completato il percorso chirurgico. “È una scelta che privilegia l’anatomia rispetto all’identità – denuncia Palma -. Queste persone vivono in reparti speciali, ma spesso in condizioni di isolamento totale. Per proteggerle, si finisce per escluderle da ogni attività. È un modello che rischia di trasformarsi in un piccolo ghetto. Lo abbiamo detto anche a livello europeo: “They ask for protection and receive isolation”.
A complicare il quadro, secondo Palma, è il decreto sicurezza, che ha introdotto 14 nuovi reati e 9 aggravanti. Una scelta che, per l’ex Garante, riflette un approccio sbagliato: “Se si vuole contrastare un fenomeno, bisogna smettere di pensare che l’unico strumento sia il diritto penale. Il diritto penale dovrebbe essere l’ultima risorsa, non la prima. Prima bisogna investire sui servizi territoriali, sulla prevenzione, sulla capacità di intercettare i comportamenti problematici quando iniziano a emergere. Bisogna coinvolgere le comunità locali, creare alternative reali, responsabilizzare i territori prima di arrivare alla misura estrema della pena detentiva”.
Palma sottolinea che il carcere sta diventando un contenitore di marginalità sociale: “Oggi nelle carceri italiane scontano pene brevi moltissime persone che non hanno altra possibilità. Ci sono detenuti che stanno dentro perché non hanno una casa, perché sono stranieri e non sanno di poter chiedere una misura alternativa, perché non hanno un avvocato, non conoscono i propri diritti, non hanno istruzione”. E allora la domanda resta sospesa: su 62mila detenuti, quanti rappresentano davvero una minaccia sociale concreta? Secondo Palma, non più di 20mila. Gli altri sono il volto della povertà criminalizzata, della fragilità trasformata in colpa”.
“Il carcere non può essere la risposta automatica al disagio sociale. Serve una svolta politica e culturale che riconosca il fallimento dell’approccio repressivo e investa davvero nella prevenzione, nella tutela dei diritti e nelle alternative alla detenzione. Perché il modo in cui trattiamo le persone più fragili e invisibili rivela la qualità reale delle nostre istituzioni”.