Cronaca

Beccata a fumare nel bagno dell’azienda era stata licenziata ma per la Cassazione va reintegrata: “Non c’era nessun pericolo”

Fumare in azienda non è sufficiente per giustificare il licenziamento disciplinare se il datore di lavoro non dimostra che da tale condotta derivi un reale pericolo per persone, impianti o materiali. Il recesso è legittimo solo se sussiste la concreta pericolosità della condotta posta in essere dal dipendente, diversamente si tratterà di “insussistenza del fatto contestato”. Questo è quanto precisato dalla Cassazione, in una recente ordinanza.

Il fatto.
La vicenda trae origine dal licenziamento di una lavoratrice, a Vicenza, sorpresa nel 2022 a fumare in un bagno interno all’azienda, situato in un reparto qualificato come area a rischio secondo il dvr aziendale. La contestazione disciplinare e la lettera di licenziamento facevano riferimento al contratto he prevede il licenziamento per infrazioni gravemente colpose potenzialmente pericolose.La dipendente impugnava il licenziamento; la Corte d’appello annullava detto provvedimento, ritenendo insussistente il pericolo concreto, sulla base anche della perizia tecnica. Avverso detta decisione, la società datrice di lavoro ha proposto ricorso in Cassazione, sulla scorta di tre motivi.

La decisione.
La Cassazione condividendo la sentenza del giudice di merito, ha ritenuto infondate le censure sollevate dall’azienda, per cui ha rigettato il ricorso confermando la reintegrazione della lavoratrice. Nello specifico, nella lettera di licenziamento in cui è stato fatto “particolare riferimento agli artt. 52 e 54 lettera c)” del “C.C.N.L. Gomma e Plastica applicato in Azienda”, alla lavoratrice era stato anche contestato che “in quel momento si stava svolgendo proprio vicino al bagno un’operazione di ripasso con svuotamento di liquido disinfettante per mani ad alto grado alcolico”. A tal riguardo, secondo la Suprema Corte non è condivisibile l’assunto della ditta, secondo cui “la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare – al netto degli articoli citati all’interno della lettera di contestazione – i fatti materiali ivi contestati, oggetto di espresso richiamo nella lettera di licenziamento”. Orbene, i fatti contestati non consistevano nella sola “circostanza di aver fumato all’interno dei locali aziendali”, come ritenuto dai giudici del reclamo, in quanto la datrice di lavoro nella contestazione disciplinare esponeva precise circostanze relative all’assunta pericolosità della condotta addebitata alla lavoratrice. La Corte di legittimità, quando ha affrontato casi in cui venivano considerate le norme collettive che sanzionavano l’inosservanza del divieto di fumare o comunque precipui divieti a riguardo, ha sempre evidenziato la necessità che il giudice di merito dovesse valutare le circostanze concrete che avevano determinato quel determinato comportamento del lavoratore incolpato o che il rischio di incendio oppure l’esposizione a pericolo di persone e cose.

Il finale.
Alla luce di tali considerazioni, ad avviso della Cassazione la valutazione del caso effettuata dalla Corte territoriale è aderente al tenore letterale della contestazione disciplinare; inoltre, il giudice di merito ha correttamente considerato se la condotta addebitata in fatto alla lavoratrice, in sé incontestata, fosse tale da indurre pericolo in concreto, cioè “suscettibile di provocare incidenti alle persone, agli impianti, ai materiali”. Pertanto, va esclusa la pericolosità potenziale della condotta tenuta dalla donna, per cui il licenziamento comminatole dall’azienda. è palesemente illegittimo. La donna sarà reintegrata, indennizzata e la ditta dovrà pagare circa 16 mila euro di spese legali.

(Fonte Altalex)