Arrestato il narcotrafficante più pericoloso dell’Ecuador, “El Fito” di nuovo in manette dopo la fuga
Finalmente il narcotrafficante più pericoloso di tutto l’Ecuador è stato catturato. José Adolfo Macías Villamar, chiamato “El Fito”, è stato arrestato il 25 giugno a Manta dopo una latitanza durata quasi diciotto mesi. Il suo ritorno in carcere rappresenta un momento cruciale nella battaglia contro il narcotraffico e la violenza che da anni devastano il paese.
Chi è “El Fito” e perché faceva paura? Originario di Manta, classe 1979, Fito è il boss del gruppo criminale Los Choneros, una potente organizzazione che opera sia nei carceri sia fuori, con un giro di droga, estorsioni e omicidi. Già nel 2011 era stato condannato a 34 anni di carcere per traffico di stupefacenti, armi e omicidi, ma anche dietro le sbarre della prigione riuscì a mantenere un potere impressionante. In prigione ha ottenuto privilegi impressionanti: si è laureato in giurisprudenza, organizzava feste con musica e piscine e comandava ignorando completamente le regole, come fosse un re nel suo regno.
Il suo potere non era limitato alla prigione, divenne leader indiscusso di Los Choneros nel 2020, dopo l’uccisione del fondatore Jorge Luis Zambrano. Da quel momento, ha esteso il controllo verso cartelli stranieri come quello di Sinaloa, stringendo alleanze strategiche e gestendo rotte di cocaina verso Stati Uniti ed Europa.
Ma Fito era soprattutto temuto per la sua capacità di organizzare rivolte sanguinose. La sua fuga dalla prigione di Guayaquil nel gennaio 2024 ha scatenato 7 sommosse nelle carceri, attacchi con autobombe e sequestri, fino alla dichiarazione dello stato di emergenza dal presidente Daniel Noboa. È diventato il simbolo di un potere criminale libero, che utilizzava le carceri come centri di comando e corrompeva le istituzioni.
Dalla latitanza al bunker. Fito era sparito dalle mappe nel gennaio 2024, uscendo dal carcere senza che nessuno se ne accorgesse. Eppure, non si era allontanato da Manta. Le indagini, condotte con tecnologie avanzate e supporto internazionale (Usa compresi) hanno permesso di individuare un bunker sotterraneo sotto una villa nella sua città natale. All’interno, un quadro surreale: piscina, pista da biliardo, muro nascosto con passaggio segreto, studiati per riparare il boss all’ombra del sole.
Il blitz è stato chirurgico: Fito è stato preso senza sparare un colpo, immobilizzato mentre scappava da un vano segreto. È stata un’operazione che consente allo Stato di gridare vittoria senza vittime.
Ora si trova nel carcere di massima sicurezza La Roca, dove era stato già recluso, e dovrà rispondere non solo alle autorità ecuadoriane ma anche a quelle statunitensi: la giustizia Usa lo accusa di traffico internazionale di cocaina, armi e associazione a delinquere.
L’arresto. La cattura di “El Fito” è più di un colpo allo spietato boss. È uno spiraglio di luce per un paese stremato dalla spirale di violenza legata al narcotraffico. Le carceri sono state senza vergogna spettatrici e complici di poteri criminali. L’arresto mette fine a una figura già temuta dentro e fuori le mura. Il presidente Noboa l’ha definita una vittoria simbolica, ma ha chiesto una rete di misure durature per evitare che altri “Fito” tornino a emergere.
Questa cattura è una pagina storica per l’Ecuador. Ma la battaglia contro il narcotraffico e la criminalità organizzata resta lunga.