Cronaca

Arrestato clan di pusher che andava in giro a spacciare con un neonato a bordo per non insospettire nessuno

Dopo un anno di indagini serrate, i carabinieri della Compagnia di Moncalieri hanno smantellato un gruppo criminale dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti, con base a Carmagnola e radicato nel territorio in forma familiare. Nove le persone arrestate nell’ambito dell’operazione denominata “Cuore di ghiaccio”: sette uomini e due donne, sei italiani e tre cittadini di origine albanese, tutti residenti nella cittadina del Torinese. Il nome dell’operazione deriva da un contatto salvato nella rubrica telefonica di un acquirente abituale, poi ricollegato a una delle indagate principali.
Nel corso dell’inchiesta sono stati documentati oltre cinquecento episodi di compravendita di droga, in particolare cocaina, venduta a tutte le ore, sia a domicilio che in luoghi pubblici. In alcuni casi la sostanza veniva consegnata direttamente a mano, in altri nascosta nella buca delle lettere, o scambiata persino nei parcheggi dei supermercati. Per non destare sospetti durante i controlli, due degli arrestati portavano con sé la figlia neonata, che viaggiava in auto durante le consegne: ora la bambina è stata affidata ai servizi sociali.

L’indagine ha preso avvio nel giugno 2024, a seguito di una rapina avvenuta in una sala slot di Carmagnola, durante la quale la titolare era stata aggredita e derubata di 3.500 euro in contanti. Gli accertamenti hanno poi rivelato che si trattava di una rapina di autofinanziamento, messa a segno per ottenere liquidità da reinvestire nell’acquisto di droga. A commetterla erano stati una giovane coppia e un parente stretto, tutti del posto. Dopo il loro arresto, i carabinieri hanno cominciato a ricostruire la rete familiare dietro al giro di spaccio. Una delle figure centrali è risultata essere la madre della ragazza coinvolta nella rapina: era lei a tenere i contatti con un fornitore albanese, mentre la figlia e il compagno si occupavano della distribuzione. Dopo essere finita ai domiciliari, la ragazza ha chiamato la madre – intercettata dagli investigatori – per affidarle le ultime dosi ancora in casa, dicendole: “Vieni e te le prendi, tanto i carabinieri sono già passati”. Da quel momento, la gestione degli affari è passata a uno zio della giovane e ai suoi figli, anch’essi collegati ai fratelli albanesi attivi nel traffico di stupefacenti in zona.

Decisiva per ricostruire l’intero sistema è stata la vasta mole di intercettazioni telefoniche e ambientali, che hanno permesso di aggirare le cautele adottate dagli indagati, soliti comunicare in modo criptico. Le dosi venivano chiamate “birre” o “scarpe”, mentre le somme di denaro erano indicate come “pietre”. Gli incontri avvenivano in maniera sistematica e con modalità che lasciavano intendere una struttura ben organizzata e stabile nel tempo. Ora, a distanza di dodici mesi dall’inizio dell’inchiesta, la rete criminale è stata smantellata e per i nove arrestati si prospettano accuse pesanti: spaccio di sostanze stupefacenti, associazione per delinquere e, per alcuni, anche rapina aggravata.