Cronaca

Coltivare marijuana in casa per uso personale senza spacciare non è reato, la Cassazione fissa bene le regole

Se le piante non sono molte e se non si spaccia, coltivare marijuana in casa non è un reato. La storia parte da Bologna e arriva fino alla suprema corte di Cassazione che ha fissato i paletti giuridici della vicenda e di tutte le altre simili. Circa due anni fa i carabinieri erano arrivati in casa del 41enne e avevano posto sotto sequestro 11 piantine di marijuana. La battaglia legale è stata vinta dall’uomo: se la sostanza stupefacente è poca e se non c’è nessun dubbio riguardo ipotesi di spaccio il fatto non costituisce reato. La Cassazione fa chiarezza sulla coltivazione di marijuana in casa per uso personale, e non a scopo terapeutico: se la sostanza stupefacente è poca, cioè se le dosi che si possono ricavare sono poche, e se non c’è nessun dubbio riguardo a ipotesi di spaccio, il fatto non costituisce reato. Storica sentenza degli ermellini nei confronti di un bolognese di 41 anni, difeso dall’avvocato Luca Sebastiani, che lo hanno assolto con formula piena, senza rinvio alla corte d’Appello ma in modo diretto.

Questa la novità della sentenza dei giudici di Piazza Cavour che da un paio d’anni stanno emettendo sentenze favorevoli alle persone sotto processo per coltivazione di canapa, a patto che come detto il quantitativo sia esiguo e quindi per solo uso personale, o in altri casi per scopi terapeutici, e non sussistano indizi o prove di spaccio. Circa due anni fa i carabinieri bolognesi, dietro segnalazione, erano arrivati in casa del 41enne e avevano posto sotto sequestro 11 piantine di marijuana e lo avevano denunciato e l’uomo aveva passato una notte intera in caserma. Il giudice, nel processo per direttissima la mattina dopo, non aveva richiesto misure cautelari ma aveva espresso dubbi circa le finalità della coltivazione. Un altro inquilino dello stesso edificio era finito insieme a lui a processo ma era stato assolto, per lui invece si era arrivati a una sentenza di proscioglimento per la cosiddetta particolare tenuità del fatto.

In pratica il giudice riconosce che sia stato commesso un reato ma è così lieve che non merita condanne. Tale pronunciamento però rientra nei casi in cui il proscioglimento finisce nel casellario giudiziale. A quel punto l’avvocato Sebastiani ricorre in Cassazione impugnando il provvedimento del Tribunale di Bologna. Per il legale non c’è coerenza tra quello emerso nel processo e la sentenza. Nei giorni scorsi la suprema corte di Cassazione ha dato pienamente ragione all’avvocato e al suo assistito annullando senza rinvio il provvedimento dei giudici bolognesi con una motivazione che non lascia spazio a dubbi e interpretazioni: il fatto non costituisce reato.

Si legge infatti in sentenza: «Ne discende l’inoffensività della condotta, posto che è stato riconosciuto l’uso personale della sostanza rinvenuta e che non vi sono elementi idonei a sostenere una destinazione anche a terzi del prodotto ella coltivazione, in considerazione del modesto numero di piante, del mancato rinvenimento di materiale destinato al confezionamento e alla pesatura delle dosi nonché di una contabilità per il conteggio delle dosi vendute».

L’avvocato Luca Sebastiani si è detto molto soddisfatto delle decisioni di Piazza Cavour: «Una decisione importante, non scontata che non posso che apprezzare. In primo grado era già stata esclusa la punibilità del mio assistito per particolare tenuità del fatto, ma a nostro avviso c’erano tutti i presupposti per ottenere un’assoluzione con formula piena. Siamo molto soddisfatti che la Suprema Corte lo abbia riconosciuto, adottando un orientamento senz’altro garantista, in grado di segnare un punto di svolta su una tematica giuridica così importante».

 

(Fonte Corriere di Bologna)