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Trump, a un mese dalla sua seconda elezioni le prime analisi

Un Mese di Trump 2.0, tra politica estera e caos interno. A un mese dall’insediamento di Donald Trump, al centro ci sono le sue prime mosse in politica estera, con particolare attenzione a Ucraina e Medio Oriente. Sul fronte interno, tengono banco le controverse iniziative di Elon Musk per rendere più efficiente l’amministrazione pubblica, mentre le misure su inflazione e deportazione dei migranti procedono più lentamente del previsto.Laddove la presidenza Trump già nel primo mese è andata ben oltre le aspettative è stato il degrado della relazione malsana tra potere esecutivo e poteri economici. La nomina di Elon Musk alla testa del Doge, con la possibilità di eliminare, ridurre, trasformare ministeri e organi di supervisione che monitorano e, in alcuni casi, hanno investigazioni aperte con le sue imprese, nonché la possibilità di accedere a dati sensibili e visionare (e cambiare) il sistema di pagamenti di cui le sue imprese sono beneficiarie, presenta un conflitto d’interessi visto raramente in una moderna liberaldemocrazia. Inoltre Musk (con Peter Thiel, J.D. Vance, Mark Zuckerberg ecc.) è uno dei membri di quella tecno-oligarchia economicamente libertaria e politicamente autoritaria che è molto influente nell’entourage di Trump e che ha imposto alcuni dei suoi membri in posizioni chiave all’interno della nuova amministrazione (per esempio David Sachs come “AI e crypto czar”). Che dire poi del penoso (per chi l’osserva dall’esterno) pellegrinaggio dei grandi imprenditori statunitensi (e non solo) a Mar-a-Lago per ingraziarsi, anche attraverso donazioni, il nuovo presidente e abbracciare le sue politiche e la sua ideologia? Siamo dunque in presenza della rapida ascesa di un capitalismo clientelare e – in alcuni settori – monopolistico, che non solo avrà ripercussioni negative sulla crescita di medio-lungo periodo dell’economia, ma che è anche sempre più incompatibile con la liberaldemocrazia, che ha tra le sue prerogative il controllo sugli eccessi del capitalismo e la difesa dei suoi cittadini dalle prevaricazioni del potere economico. Infine, le pressioni sui media per ottenere il loro addomesticamento sono continuate. Dopo l’elezione di Trump, diversi media hanno deciso di raggiungere accordi per chiudere vertenze giudiziarie con il neoeletto presidente accettando di sborsare cifre ingenti. Trump ha anche fatto cancellare abbonamenti e servizi d’informazione che il governo federale aveva con giornali e altri media (e la prossima mossa, più devastante, potrebbe essere la decisione di eliminare la pubblicità in certi media considerati ostili all’amministrazione). Inoltre, ha ristretto l’accesso dei media tradizionali ai press briefing della Casa Bianca, del Pentagono, del Dipartimento di Stato e di altri dipartimenti del governo federale, introducendo una rotazione dei media tradizionali con social media e bloggers, molti dei quali espressione del mondo Maga e dell’estrema destra. In questo modo l’amministrazione nelle conferenze stampa può ormai contare su dei media molto più benevoli nei suoi confronti, nonché limitare il numero di domande scomode.

Dopo un solo mese alla Casa Bianca, Donald Trump e la sua amministrazione hanno dunque picconato violentemente alcuni dei pilastri della liberaldemocrazia americana. Tre delle possibili sette misure illiberali indicate prima del ritorno alla Casa Bianca sono ora in pieno svolgimento – e alcune di esse stanno andando ben al di là di quanto si temeva inizialmente –, mentre altre tre sono in fieri. Solo la nomina dei posti apicali dell’amministrazione senza approvazione del Senato sembra destinata a non materializzarsi. Vi sono dunque buone ragioni per temere un’involuzione degli Stati Uniti verso la forma di una democrazia illiberale. Ciò non significa però che l’edificio della liberaldemocrazia statunitense sia già crollato o sia già sul punto di crollare. Per il momento vi sono ancora sufficienti checks and balances che lo sorreggono. È però anche vero che le cose stanno evolvendo molto rapidamente e non vi sono tante ragioni per essere ottimisti.

Anzi, guardando alle recenti dichiarazioni e interferenze di Trump, Vance e Musk nella politica europea, c’è da temere che le cose non andranno in una buona direzione per la liberaldemocrazia. Come nella fiaba di Lafontaine Il lupo e l’agnello, coloro che hanno negato i risultati indiscutibili di un’elezione e hanno condonato le azioni di coloro che hanno assalito il Congresso, definendoli anzi “patrioti” e “ostaggi”, diventano ora i donneurs de lessons e accusano l’Europa di abbandonare “i suoi valori più fondamentali, valori che sono condivisi con gli Stati Uniti d’America” (J.D. Vance). E questo perché si rifiutano di collaborare con forze estremiste che proprio questi valori vorrebbero affossare. “La raison du plus fort est toujours la meilleure”, scriveva sempre Lafontaine. Tuttavia questa volta non può e non deve essere così, perché ne va della democrazia in Europa. È dunque più che mai necessario che i leader europei, anche se si trovano in una posizione di debolezza, rispondano con estrema fermezza, se vogliono evitare di seguire gli Stati Uniti nella slippery slope che hanno intrapreso.