Tuvalu, inizia l’esodo dal primo Stato destinato a scomparire a causa del climate change, metà della popolazione vuole emigrare in Australia
I ghiacci si sciolgono e gli oceani salgono, alcuni paesi col tempo scompariranno e la gente inizia a spostarsi.
Per la prima volta nella storia, una nazione si prepara a migrare in massa non per guerre o persecuzioni, ma a causa del cambiamento climatico. A Tuvalu, piccolo arcipelago del Pacifico con un’altitudine media di meno di due metri sul livello del mare, oltre 4.000 cittadini – cioè quasi metà della popolazione che ne conta appena 11mila – hanno fatto domanda per un visto speciale di emigrazione verso l’Australia, nel quadro del trattato bilaterale Falepili Union siglato nel 2023. Parliamo di asilo climatico. L’accordo prevede il rilascio di 280 visti all’anno per motivi climatici, riconoscendo esplicitamente che la crisi ambientale può rendere invivibile un’intera nazione. In un contesto di inondazioni sempre più frequenti, erosione costiera, crisi idrica e perdita di raccolti, l’esodo non è una scelta, ma una necessità. A Tuvalu il futuro è diventato l’oggi. Il mare sta lentamente inghiottendo il territorio segnando il destino della nazione. Un Paese che non esisterà più.
Per le autorità, la migrazione non equivale alla dissoluzione del Paese. Il primo ministro Feleti Teo ha ribadito che l’obiettivo non è solo salvare vite, ma anche preservare identità, cultura e diritti sovrani. Tuvalu, insieme ad altri piccoli Stati insulari minacciati dall’innalzamento del mare, chiede che la comunità internazionale riconosca il concetto di “sovranità in esilio”: una condizione che permetterebbe a uno Stato di continuare a esistere giuridicamente anche senza un territorio abitabile. Mantenere la rappresentanza all’ONU e il controllo sulla zona economica esclusiva diventa cruciale per evitare che la perdita della terra coincida con la perdita del popolo.
Lampante, dunque, come il caso di Tuvalu scuota le fondamenta del sistema globale di protezione. Oggi, i rifugiati climatici non hanno alcun riconoscimento formale a livello internazionale: chi fugge da siccità, alluvioni o innalzamento del mare non può accedere agli stessi diritti previsti per chi scappa da guerre o regimi oppressivi. L’accordo tra Tuvalu e Australia è un’eccezione che potrebbe però diventare un modello. Nel frattempo, miliardi di persone in altre aree vulnerabili del mondo – dall’Africa subsahariana al Sud-est asiatico – restano senza tutele, esposte agli stessi rischi. Ciò che oggi rappresenta una eccezione rischia di diventare regola, nell’ottica di un quadro climatico sempre più preoccupante – soprattutto per piccole realtà all’ombra dei giganti. Ciò che è certo è la creazione di un precedente che quantomeno apre una questione politica (ed etica) nel diritto internazionale.