Liste d’attesa: per i tempi troppo lunghi 4 milioni di italiani rinunciano a visite ed esami
Nel 2024, in base ai dati dell’Istat, una persona su dieci ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, il 6,8% a causa delle lunghe liste di attesa e il 5,3% per ragioni economiche. E la motivazione relativa alle liste di attesa è cresciuta del 51% rispetto al 2023. Lo evidenzia la Fondazione GIMBE che ha analizzato la rinuncia degli italiani alle prestazioni sanitarie e lo stato di attuazione della nuova Legge sulle liste di attesa a circa un anno dall’entrata in vigore. In pratica, secondo la Fondazione GIMBE, il provvedimento legislativo «non ha ancora prodotto benefici concreti per i cittadini» e, al 10 giugno 2025, «secondo quanto riportato dal Dipartimento per il Programma di Governo, risultano pubblicati in Gazzetta ufficiale solo tre dei sei decreti attuativi previsti». La rinuncia a prestazioni sanitarie necessarie, quali visite specialistiche ed esami, ha fatto registrare un’impennata nel 2024: secondo le elaborazioni di GIMBE su dati Istat, il 9,9% della popolazione – circa 5,8 milioni di persone – ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, rispetto al 7,6% del 2023 (4,5 milioni di persone) e al 7% del 2022 (4,1 milioni di persone).
Commenta il presidente della Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta: «Negli ultimi due anni il fenomeno della rinuncia alle prestazioni non solo è cresciuto, ma coinvolge l’intero Paese, incluse le fasce di popolazione che prima della pandemia si trovavano in una posizione di “vantaggio relativo”, come i residenti al Nord e le persone con un livello di istruzione più elevato».
L’aumento delle rinunce a visite ed esami rilevato nel 2024 è dovuto soprattutto ai lunghi tempi d’attesa: sono 4 milioni (6,8% della popolazione) gli italiani che dichiarano di avervi rinunciato, rispetto ai 2,5 milioni di persone (4,2%) del 2022 e ai 2,7 milioni (4,5%) del 2023.
Anche le difficoltà economiche pesano: la percentuale di chi rinuncia per motivi economici è aumentata dal 3,2% del 2022 (1,9 milioni di connazionali) al 4,2% del 2023 (2,5 milioni), fino al 5,3% del 2024 (3,1 milioni di persone).
Secondo Cartabellotta, «è proprio l’intreccio di questi due fattori a rendere il fenomeno ancora più allarmante: quando i tempi del pubblico diventano inaccettabili, molte persone sono costrette a rivolgersi al privato; ma se i costi superano la capacità di spesa, la prestazione diventa un lusso. E alla fine, per una persona su dieci la scelta obbligata è rinunciare».
«Il vero problema – continua il presidente GIMBE –è la capacità del Servizio sanitario nazionale di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute. Le liste d’attesa non sono una criticità da risolvere a colpi di decreti: sono il sintomo del grave indebolimento del Servizio Sanitario, che richiede investimenti consistenti sul personale sanitario, coraggiose riforme organizzative, una completa trasformazione digitale e misure concrete per arginare la domanda inappropriata di prestazioni sanitarie».
(Fonte Ansa)