"Le Palle Delprete"

“Il Canto del fuoco che resta”, la sconfitta di Sinner a mente fredda e a cuore caldo

Non ogni vittoria scolpisce. Non ogni sconfitta spegne. No, assolutamente. No, perché ci sono giorni – giorni rari, rari come comete d’altri cieli che d’improvviso si schiantano su corpi e su suoli – in cui il campo si fa fucina. E la vita – la vita stessa – si fa metallo rovente da battere, da torcere e da forgiare. E ieri, ieri era proprio un giorno di quelli. Ieri Parigi tutta, il mondo intero incollato su schermi, ha tremato e vibrato sotto il peso di due Giganti, inarrivabili, immensi Titani. Due Titani non più ragazzi, non più solo e soltanto rivali ma specchi del tempo, architravi del nuovo secolo del Tennis.

Sinner e Alcaraz. Ombra e luce. Fiamma e gelo. Lame di spada racchette che si incrociano con furore e veemenza senza mai completamente rompersi. Cinque ore e ventinove minuti. Cinque anelli di un inferno e di un paradiso che si rincorrono. Due set già scritti nel petto di Jannik, col ferro e col fuoco. Due vette scalate con fame e con arte. Poi il varco. Il bivio. La crepa. Tre match point. Tre fenditure, tre squarci, tre tagli su Eterno. Tre battiti di mondo sospeso, fiato sospeso, vita sospesa. E poi la vita, appunto. Quella vera, quella che riprende improvvisa a scorrere anche controsenso e vento.

La vita, il Destino, che non sempre si lascia stringere e che non sempre cede alla volontà di Scintilla, anche se ferrea e forgiata su DoloMitica vetta di tigna. La vita che a volte fugge, beffarda, da dita già tese alla gloria. Non crollo. Non resa. Solo il filo dell’essere sottile come spada di seta, che danza e sfugge. E Carlos, in quel filo, ha retto. Ha vibrato. Ha resistito. Per millimetri. Per granelli di terra e di nervo. Per quel nulla che fa il Tutto.

Così è stato il finale del quarto, che ha aperto le danze d’Ade e Caronte del quinto. Così il tie-break ultimo, laddove la carne non basta più, e parlano solo la mente, il sangue, il cuore crudo rimesso improvviso a nudo. Ma vedi Caro Jannik – ti scrivo e ti abbraccio come figlio e come amico stordito d’improvviso e affranto –  questa non è sconfitta che distrugge. No, neanche per niente. Quella di ieri – oltre ad essere vetta assoluta d’Epica della Storia del Tennis- è ancora una volta sconfitta che plasma. È fuoco che resta. Indelebile e inespugnabile fuoco di chi ha visto l’abisso. Inarrivabile fuoco di chi ha avuto la leggenda tra le mani. Fuoco rubato ancora una volta ad Efesto di chi ha sfiorato il giorno che poteva essere – e non è stato. Perché ogni passo d’oggi scolpisce l’uomo di domani. Perché ogni millimetro strappato come carne viva oggi sarà centimetro dominato domani.

Ed è questa la verità, JannikBello. La verità cruda, lucente, nuda: ieri abbiamo visto due forze uguali e contrarie. Identiche e possenti. Assolute e furenti. Ieri abbiamo assistito a due distinti nuovi Universi che si sono elisi e annullati. E che per un soffio, un sussurro, un fremito, hanno scelto un solo vincitore. Ma lo scontro, JannikBello, resta inciso. Nel Philippe Chatrier. Nella storia. Nel petto di chi ha visto- E la scintilla arde ancora. Nel Tuo cuore, Scintilla. E nel cuore nostro.

 

Perché è da queste notti — da questi quasi eterni — nascono i domani più grandi. E verrà altro giorno, lo sai meglio di me. E verrà – tornerà – quel giorno che non tremerai, anche contro altra faccia di te stesso. Quel giorno, quel giorno che riannoderà quel filo che ieri si è spezzato. Perché è così – anche con giornate come quella di ieri – che cresce tua Leggenda. Perché questa è solo l’alba di una dicotomia che profuma d’Assoluto e d’Eterno.